Per ascoltare invece di leggere:
Laurea in Poesia. In Italia esiste anche questo ragguardevole riconoscimento, in ideale continuità con la Laurea Apollinaris Poetica nata nel lontano 1972, e che viene conferito annualmente ad una tra le migliori poetesse o poeti italiani viventi: dall’anno scorso la manifestazione è organizzata dall’Università Pontificia Salesiana, che accanto a questo prestigioso premio, ha istituito anche la Gara Poetica, concorso diviso in due sezioni, una riservata ai giovani alla ricerca della loro migliore poesia inedita, una dedicata alla migliore raccolta edita.
La manifestazione si è conclusa ieri, sabato 9 novembre, con la proclamazione dei vincitori e l’assegnazione della laurea di quest’anno a Antonella Anedda-Angioy. Notevole anche l’assegnazione di un premio alla menoria a padre David Maria Turoldo, intenso esponente della poesia cosiddetta religiosa, dove è fatale riconoscere la stretta parentela fra poesia e preghiera
E’ significativo comunque che proprio una università pontificia mantenga tutta tanta attenzione e sensibilità per la poesia. E’ vero che l’Ateneo Salesiano vanta al suo interno, oltre alle facoltà di Teologia, Filosofia, Scienze della Comunicazione e Scienze dell’Educazione anche la facoltà di Lettere Cristiane e Classiche, ma è comunque singolare l’apertura nei confronti del variegatissimo mondo della poesia contemporanea, spesso… estemporanea e fortemente “emotiva” piuttosto che letterariamente strutturata. Parlo a ragion veduta in quanto, come indegno membro di giuria, della Gara poetica sezione raccolte edite, già dall’anno scorso ho potuto/dovuto immergermi nella vastissima produzione in versi del nostro paese. Pullulano i poeti e nonostante la crisi del settore, anche gli editori disposti bene o male a pubblicarli.
Ieri, nella manifestazione di chiusura, il pimpante conduttore, docente all’interno dello stesso ateneo, ha voluto riproporre la fatale domanda: che cos’è la poesia. E la ricerca di una definizione, accanto alla ricerca di una parola che, pur non definendola, quanto meno la evochi, ha rappresentato il filo rosso degli interventi dei vari partecipanti.
La fatale domanda mi ha comunque siggerito una fatale risposta. Forse la poesia non può essere definita, perché iil suo compito è definire. E’ lei la definizione di tutto quanto può essere detto o taciuto, sempre nella consapevoleza che nella nostra lingua “definire” fa rima con “finire”, e che non a caso un sinonimo di “parola” è “termine”, a ricordarci che ogni parola è il piccolo sepolcro di un’emozione.
In questo senso, tutta la poesia (che è sostanza di parola) non è che un cimitero, o meglio una panoramica su emozioni concluse, a tal punto espressioni di vita vissuta, da poter essere dette, raccontate, ricordate, tradotte e “purificate”, fatte risorgere in parola. Per questo la poesia è scomoda, sempre un po’ fuori tempo e fuori luogo, esattamente come un oggetto apparentemente inservibile, una poltrona senza schienale, un letto troppo basso, un materasso duro, un paio di scarpe strette…
Uno cerca sollievo dello spirito e si avvicina a una raccolta di poesie. Ce ne sono talmente tante in circolazione, dicevamo. E Il bisogno di produrne è in crescita, un po’ come il bisogno di avere un cane. E non vorrei apparire blasfema o dissacrante: che crescano a dismisura i poeti è una benedizione. Vuol dire che tutto quello che viene schiacciato dentro di noi dalle nostre routine infernali sottoposte a ritmi sempre più veloci, come è stato ricordato ieri, reclama di uscire da qualche parte: per l’appunto nel bisogno di comporre versi. Sollievo simile a quello di accarezzare una bestiola. Un verso come una carezza, che dia senso a infinte forme di solitudine.
E così uno scrive. E qualcun altro, che non ha quetsa predispozione, ha l’altra, speculare, di leggere. Bisogno soggettivo e bisogno oggettivo di poesia. Bisogno comunque di sollievo. Ma poi è veramente un sollievo? In chi scrive, forse. In chi legge, un po’ meno. Col sollievo della poesia ci investe sempre un’inquietudine, che mette in moto domande, dubbi, smuove ricordi anche spiacevoli, ravviva dolori. Che ci obbliga a confrontarci con noi stessi e col tempo che viviamo…
…e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei
Per risultare ancora più scomoda, io ho messo in fila i versi dei cinque finalisti, mischiando le carte. Un gioco pericoloso, simile a quello di invitare un software a comporre versi al posto nostro. Ho fatto dei loro “versi diversi” una poesia sola. Sono stata politicamente scorretta, perché per un autore prestarsi a perdersi in una specie di “comune” creativa, perdendo la propria unicità certo non è piacevole. Ma l’esperimento momentaneo mi ha confermato l’universalità del sentire, al di là degli stili, delle singole formazioni, delle età, delle tematiche…
Indefinibile e scomoda, è proprio per questo che la poesia è universale. Ci ricorda che benché diversi, siamo uguali. Ai poeti, almeno a loro, non resta che impegnarsi ad essere sempre più uguali però… in maniera sempre più diversa.
Lo diceva Goethe: “tutto quello che doveva essere detto, è già stato detto. A noi non resta che ripeterlo nel migliore dei modi”.
10 novembre 2024
In foto: don Mauro Mantovani, già Rettore della Università Pontificia Salesiana, oggi prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, introduce la manifestazione.