Close

CARLO

Per ascoltare invece di leggere:

Conoscevo un ragazzo tetraplegico, distrofia Duchenne. Credo un caso “di scuola”, in quanto è vissuto molto più a lungo rispetto alle generali previsioni di sopravvivenza per soggetti come lui. Carlo Guglielmo è morto il 4 gennaio scorso, a 38 anni. Era il figlio del dottor Fabrizio Vitale, medico di famiglia di mio padre, mia madre e me, quando ero ragazza. Di Fabrizio e della sua famiglia negli anni sono diventata amica, e dunque ho avuto diverse occasioni per incontrare Carlo. Non molte, ma decisive. Sufficienti a passare dall’imbarazzo iniziale di trovarmi di fronte a un invalido … alla “disturbante” certezza che tra lui e me la vera invalida ero io.

Carlo aveva una voce sottile, che negli anni si è assottigliata sempre più. In pratica sussurrava. Ascoltandolo parlare, ho incominciato a domandarmi perché noialtri non invalidi (o presunti tali) usiamo sempre più voce di quella che realmente ci serva. Per dimostrare che cosa? Lui sussurrava ma si faceva capire alla perfezione. Noi spesso urliamo e non sappiamo quello che diciamo.

Al funerale di Carlo la chiesa era stracolma (Santa Chiara, in piazza Giuochi Delfici, a Roma). Sono entrata con le lacrime e sono uscita sorridendo. (Sorridendo “dentro”, non certo ostentando una allegria fuori luogo). Durante l’omelia, il celebrante don Andrea Manto, che conosceva molto bene Carlo e famiglia, si è commosso. Fatto raro, in un tempo in cui i preti sembrano essere diventati incapaci di commuoversi perfino di fronte all’eventuale ritorno di Gesù sulla terra. In chiesa non c’erano fiori, ma un’infinità di musica. La musica ci ha avvolti tutti dal principio alla fine: in attesa che iniziasse la funzione, durante la messa, quando la bara è stata portata fuori… La musica ha colorato tutto, ha consolato tutti. Carlo amava la musica, e dopo le funzioni (era molto credente) desiderava fermarsi in quella chiesa ad ascoltare l’organo. Perciò la famiglia ha chiesto di non mandare fiori, ma offerte per il restauro e la manutenzione di quell’organo che a Carlo piaceva tanto. L’omelia e le testimonianze finali di amici e parenti (che per la prima volta non mi hanno disturbato come coda retorica alla funzione) hanno costruito l’immagine di uomo esemplare. Del resto non è possibile assistere a funerali dove si parli male del morto.

Due lauree, un lavoro, prima alla Regione, poi al Ministero degli Esteri, passioni per arte, musica, cinema, impegno in parrocchia… Si dirà che, non potendo muoversi fisicamente, Carlo era costretto a muoversi in altro modo… Però non è così scontato. Quanti, nella sua condizione, o anche in condizioni molto meno invalidanti della sua, cadono in depressione?

Una delle ultime occasioni di incontro fra lui e me fu quando lo intervistai per sensibilizzare gli editori a pubblicare testi universitari in formato digitale, a beneficio di studenti come lui impossibilitati a sfogliare libri di carta. Carlo usava il computer, ha studiato, lavorato, si è interessato a un’infinità di cose, solo grazie alla mobilità dei polpastrelli e alla tecnologia. Dietro a Carlo c’era una famiglia. Padre, madre, fratelli, un assistente di casa che come lui non hanno mai perso il sorriso, l’accettazione, la serenità. Anche Carlo ha potuto sorridere, fino alla fine. I muscoli del sorriso erano sempre attivi. “Io credo in Dio e amo la vita” mi disse nel corso di quella intervista. Come hanno sempre accettato la sua esistenza così particolare e bisognosa di enorme aiuto, i suoi parenti hanno accettato la sua morte, con la stessa dignità dolorosa. So che mamma Paola è alle prese con lo sgombero della sua stanza, dotata di tanti immaginabili presidi di sostegno. Così come è alle prese – insieme al resto della famiglia e degli amici- di tanti contraddittori sentimenti, oggi difficilmente traducibili in parole.

Fare i conti con un’assenza è un compito duro, tanto più quando l’assente si porta dietro così tanto, amore e totalizzanti abitudini quotidiane.

Io dalla presenza di Carlo sono stata solo sfiorata. Ho potuto godere solo pochi momenti la tenerezza dello sguardo, la dolcezza del sorriso, la pacatezza della voce, insomma ho potuto solo fugacemente riconoscere la sua grazia. Si può essere più aggraziati di un danzatore anche senza muovere che due polpastrelli. La sua presenza dunque non ha inciso nella quotidianità dei miei giorni. Eppure, non so come, quel ragazzo mi manca. Non so come, Carlo ha lasciato un vuoto anche nella mia vita, anche a me che sono stata solo di passaggio nella sua.

Mi chiedo da giorni che cosa esattamente mi manchi e perché, dopo la morte di Carlo. Un esempio? Un promemoria? La consapevolezza dell’impegno quotidiano che segnava la vita dei suoi genitori miei amici? Niente di così astratto o non solo. Forse mi manca la presenza fisica di quella persona così dignitosamente sofferente. Oggi nessuno sa soffrire, il dolore non è mai merce di scambio. Forse dentro di me sapevo che con Carlo avrei potuto scambiare questo qualcosa di così prezioso e pesante che comunque ci fa umani e ci conferma solidali, almeno in teoria. Carlo è per me un amico mancato, e perciò ora tanto più mancante. Perché solo nel buio riconosci la luce.

 

27 gennaio 2025

One thought on “CARLO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *