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CHE COSA VUOL DIRE CONTEMPORANEO

Per ascoltare invece di leggere:

Quando studiavamo la storia, a scuola, ci hanno insegnato a dividere mentalmente il passato dell’umanità in evo antico, evo medio, evo moderno, evo contemporaneo. Quattro siglette per riassumere invasioni, disfatte, scoperte, follie, capolavori, pensieri e teorie…

Da bambina (seconda metà del secolo scorso) mi domandavo se non fossimo dunque sull’orlo del baratro, cioè alla fine della storia, visto che, anche con le mie sommarie cognizioni spaziotemporali o semplicemente terminologiche, giungevo alla conclusione che, oltre il contemporaneo, non potesse esserci nient’altro, e che le interpretazioni si riducevano a due: o l’evo contemporaneo era destinato a finire appunto bruscamente, da un momento all’altro, insieme alla stessa storia umana, o al contrario che l’evo contemporaneo godeva della prerogativa di non finire mai. In questo caso la domanda era: che privilegio dovrebbe avere questo nostro tempo rispetto agli altri, se non il fatto di essere vissuto da noi, che siamo vivi oggi, al momento presente, se non il fatto di ospitare la nostra presunzione di superiorità su chi ci ha preceduti?

Nella mia testa, a riguardo, qualcosa non quadrava. A dirla tutta, “contemporaneo” già all’epoca mi pareva un aggettivo ambiguo. Non era lecito che anche gli antichi, ai tempi loro, si sentissero contemporanei a se stessi?

Come ci eravamo arrogati il diritto, in quella elettrizzante e drammatica seconda metà del XX secolo, di definirci contemporanei? Come avevamo osato pretendere l’esclusiva sul presente? Per chi lo vive, il presente è sempre contemporaneo, anche nel quinto secolo avanti Cristo. Che cosa ci differenzierebbe allora da un plebeo dell’antica Roma, da un pittore del Rinascimento o da un carbonaro dell’ottocento? Forse il senso del tempo e della storia? la coscienza di poggiare i piedi su fondamenta profondissime e remote? Ma anche gli antichi avevano il senso della storia, erano cioè capaci di guardare con gratitudine o senso critico a tempi precedenti il loro.

Forse l’invenzione del “contemporaneo” non deriva dalla consapevolezza del passato, ma dall’incapacità di progettare un futuro. Forse “contemporaneo” è frutto del senso della fugacità della storia inauguratosi dopo Hiroshima. Forse la drammatica percezione della fine possibile, istantanea e globale, ha indotto gli storici a caratterizzare il nostro tempo con l’insegna della labilità.

Siamo contemporanei in quanto estemporanei, effimeri, passibili di sparizione immediata, e soprattutto increduli circa la nostra capacità di lasciare un segno permanente alle future generazioni.

Per questo le cronache del presente sono così simili alle cronache del passato e alla fine tutte insignificanti. In una sua celebre novella (che darà poi vita a Sei personaggi n cerca d’autore) Luigi Pirandello racconta di ricevere un giorno la visita indesiderata di uno dei suoi personaggi, che si intrufola appunto non invitato in casa sua. Ne è infastidito, sta leggendo il giornale, è preoccupato della guerra, di quanto accade nel mondo….

“…Noi non sappiamo di guerre, caro signore. E se lei volesse darmi ascolto e dare un calcio a tutti codesti giornali, creda che poi se ne loderebbe. Perché son tutte cose che passano, e se pur lasciano traccia, è come se non la lasciassero, perché su le stesse tracce, sempre, la primavera, guardi: tre rose più, due rose meno, è sempre la stessa. (…) Che vuole che cambi? Che contano i fatti? Per enormi che siano, sempre fatti sono. Passano. Passano, con gli individui che non sono riusciti a superarli. La vita resta, con gli stessi bisogni, con le stesse passioni, per gli stessi istinti, uguale sempre, come se non fosse mai nulla: ostinazione bruta e quasi cieca, che fa pena. La terra è dura, e la vita è di terra. Un cataclisma, una catastrofe, guerre, terremoti la scacciano da un punto; vi ritorna poco dopo, uguale, come se nulla fosse stato. Perché la vita, così dura com’è, così di terra com’è, vuole se stessa lì e non altrove, ancora e sempre uguale.” (1)

Raggiunta questa amara, profetica consapevolezza, ecco perché siamo contemporanei.

 

10 febbraio 2025

 

(1) Luigi Pirandello, Colloqui con i personaggi in Appendice, 1938

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