Per ascoltare invece di leggere:
Ci ha tenuti col fiato sospeso Jannik Sinner quando l’altro giorno durante gli ottavi di Australian Open Melbourne ha mostrato segni di uno strano malore che lo ha costretto a sospendere la gara. Ma è durata poco. La pausa, non la gara. Tremori e vertigini sono presto passati, oppure – è giusto chiederselo- il campione li ha vinti prima di vincere l’avversario, il danese Holger Rune.
Sì, perché come hanno notato tutti, lo stupefacente dell’episodio sta nel fatto che la gara è ripresa regolarmente e soprattutto che Sinner ha avuto la meglio.
“Sinner vince su Rune e su se stesso”, ha titolato qualcuno.
Ma che vuol dire “vincere”?
Secondo i filologi il verbo avrebbe qualche parentela con un altro verbo latino “vincire”, legare. Richiamo al fatto che nell’antichità i vincitori legavano in catene i vinti, rendendoli schiavi.
Sinner non ha certo “legato” in alcun modo il suo avversario, però ha …schiavizzato il suo malore. Ammesso che i sintomi non siano dileguati di per sé, sia che siano stati provocati dal caldo o da un attacco di panico come sostiene qualcuno o da qualche causa neurologica ancora da accertare, Sinner è riuscito a mettere al suo servizio il male a fin di bene.
Solitamente si guarda ai grandi campioni dello sport come esempi di tenacia, disciplina, resistenza, carattere, coraggio, determinazione, energia, padronanza sul proprio corpo, lealtà verso l’avversario. Quello che a volte sfugge è che il campione è spesso in sfida principalmente con se stesso.
E’ lecito chiedersi che cosa motiva questa sfida. Che cosa c’è nel campione, oltre al piacere di correre dietro a un pallone, di saltare fino a otto metri in lunghezza, di nuotare, di far rimbalzare avanti e indietro una pallina con una racchetta etc.
C’è l’orgoglio di raggiungere un obiettivo, certamente.
E ancora: dietro questo orgoglio che cosa c’è?
Solo narcisismo? Il desiderio di oltrepassare un record, di salire su un podio, di conquistare una medaglia, di passare alla storia dello sport?
Tutta qui la benzina che fa compiere imprese commoventi e straordinarie?
No: dietro, oppure in fondo a imprese come queste ci dev’essere ben altro. E ogni campione ha la sua storia, il suo “altro”. Bisogno di riscatto sociale, mantenimento di una promessa rivolta a qualcuno, senso di appartenenza a una società, a una squadra, a una nazione…
Si vince per se stessi, certamente. Ma anche per altri, per altro. In nome di altri, di altro.
Quello che arriva sul podio non è mai da solo. Accidentalmente lo è, e gli applausi e gli onori sono tutti per lui. Ma nella sostanza, c’è un prima e c’è un dopo di ogni vittoria. Un prima che non è solo allenamento fisico e un dopo che non è solo ammirazione.
Nel caso dell’ultima vittoria di Sinner sull’avversario e su se stesso, c’è la gratitudine di tanti come noi che nelle difficoltà non vedono solo le difficoltà ma occasioni preziose.
Eccola la benzina di ogni successo: la consapevolezza dei nostri limiti.
Il narcisismo non c’entra. Da quando siamo su questo pianeta, noi umani non abbiamo fatto altro che trasformare i problemi in soluzioni.
Solo che, dall’età della pietra in poi, le soluzioni le troviamo tutti, più o meno. Solo i campioni sanno ribaltare i problemi e capovolgere i punti di vista.
Grazie dunque a Jannik Sinner non tanto e non solo per vincere le gare, quanto per averci mostrato causalmente – che cosa c’è dietro ogni vittoria.
22 gennaio 2025