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IMAGINE THERE’S NO COUNTRIES

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Si parla in questi giorni di “diritto ontologico” di Israele a proposito della sua identità e della sopravvivenza come stato nazionale del popolo ebraico: concetto che trae origine dalla storia, dalla religione dalla cultura ebraica e dalla aspirazione millenaria a un ritorno alla terra di Israele.

Tre osservazioni e domande. Prima: ontologico è un termine rigorosamente filosofico e, per così dire, generalissimo, quasi “asessuato”, anche se applicabile in tanti contesti. Però sentirlo usare a proposito di Israele mi fa accapponare la pelle. Tanti filosofi, a cominciare da Aristotele per finire a Heidegger, hanno evocato questa branca fondamentale della filosofia: riguarda lo studio dell’essere attraverso gli enti, cioè tutto ciò che esiste o sembra esistere, attestato dalla nostra esperienza sensoriale o psichica. Un concetto che non dovrebbe, onestamente, essere usurpato dalla politica. Usurpato e strumentalizzato. Se no, a rigore, dovremmo interrogarci anche sull’ontologia dei civili palestinesi sacrificati alla causa di Israele. Anche i morti sotto le bombe israeliane avrebbe diritto di esistenza. E per estensione, anche sull’ontologia delle vittime di incidenti stradali o del terrorismo o sull’ontologia delle zanzare che sterminiamo d’estate grazie a zampironi e insetticidi dovremmo interrogarci. A parità di condizioni e per par condicio, tutto ha diritto di esistenza, visto che tutto, a quanto pare, esiste.

In certi casi questo diritto di esserci assume rilevanza politica. Ma in che modo si può e si deve ribadire il diritto assoluto di esserci? Per esempio evocando il concetto di diritto naturale, grazie al quale, prima ancora di ogni norma giuridica umana, ogni individuo esiste in sé e risponde a norme superiori a quelle degli stessi codici. Non è il caso di Israele, che rivendica il suo pur sacrosanto diritto di esistenza su misere basi storiche, “positivistiche”. In realtà nel suo destino e nel suo compito su questa terra, c’è ben altro,a mio giudizio

Seconda osservazione: l’invocato ritorno alla terra di Israele, non si è comunque già realizzato? Per lo meno in percentuale sufficiente? Che cosa manca ancora? E se la sicurezza totale da parte dei popoli vicini non fosse l’oggetto della questione? Israele è una realtà autonoma, quasi geograficamente “contraddittoria”, nel mezzo del mondo arabo: è scontato che la tensione permanga infinita fra gli uni e gli altri. È l’esistenza stessa di Israele a risultare comunque “provocatoria”. Non mi chiedo ora se questo avvenga a torto o a ragione. Di fatto avviene. Domanda: l’esperienza unica e millenaria di un popolo che si è mantenuto popolo nonostante la mancanza, fino a 80 anni fa, di un territorio, non potrebbe suggerire una svolta rivoluzionaria nella storia umana?. Non l’ho pensato solo io. Ha più che sfiorato la questione la filosofa ebrea Donatella Di Cesare, che più volte si è interrogata sul senso di “stato” per lo stato di Israele. E se fosse un concetto superato e da superarsi? Per millenni il popolo eletto ha resistito compatto , caso unico sul pianeta, senza avere un focolare e neppure un a lungia (le tre condizioni giuridiche per avere una nazione sono il territorio, la lingua, il popolo). Avendo solo l’ultimo elemento, ovvero solo “se stesso”, in questo il popolo ebraico  è stato davvero il popolo eletto: non ha avuto bisogno di confini, di dogane, di identità territoriali, ha potuto fare a meno anche di un’unica lingua, pur mantenendo quella originariaE se questo non fosse un limite, ma proprio il segnale della sua grandezza, del suo destino speciale? . Esperienza unica che potrebbe essere un faro per tutta l’umanità.  Israele è ò’unico popolo con un destino talmente speciale da potersi emancipare prima degli altri delle pastoie e dai legaci del concetto di stato nazionale legato a un territorio. Concetto che, nel tempo della globalizzazione, sembra ormai avere fatto il suo tempo anche per il resto del mondo, a giudicare da quante reciproche idiozie compiono i rappresentanti degli stati ciascuno in nome di se stesso. E se questo fosse il tanto auspicato inizio dell’utopia di tanti pacifisti?

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion, too

Terza e ultima domanda: c’è qualche sionista che potrebbe immaginare una realtà così utopistica da poter diventare veramente vera? Da poter avere diritto di esistenza? L’ontologia di un sogno: più nessuno stato, a cominciare da Israele a dover giustificare di doversi sparare addosso.

 

19 giugno 2025

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