Per ascoltare invece di leggere:
Può darsi derivi dal fatto che per tanti anni ho lavorato in ambiente cattolico, ma del conflitto in Medio Oriente mi sono fatta una lettura non politica, quanto piuttosto “religiosa”. Non mi risulta che questa interpretazione sia all’ordine del giorno, ma che anzi venga piuttosto prudentemente evitata dai commentatori, quasi timorosi del rischio di offendere una o l’altra delle tre fedi coinvolte nell’area.
Non intendo dire che la guerra, o meglio le guerre in Medio Oriente siano guerre sante. Ovvero giustificate. L’era delle Crociate è finita da tempo, almeno per noi cristiani. Intendo dire che il fattore religioso sia inestricabile dal fattore politico, e che però la maggioranza degli interpreti politici o degli stessi attori coinvolti, da una parte non si abbassino a tirare in ballo una questione ritenuta dai più impalpabile e privata, dall’altra non ne riescano proprio a vedere l’importanza cruciale.
Tuttavia né per l’ebraismo né per l’Islam la fede è una questione privata e tanto meno impalpabile, al contrario. Sappiamo quanto per Israele la religione rappresenti la sostanza del destino storico dei figli di Abramo. E sappiamo quanto per i seguaci di Maometto il Corano permei in maniera “inesorabile” e decisiva la vita, l’etica e i costumi di tutti i giorni. I più tiepidi siamo proprio noi cristiani, ai quali una fede alquanto annacquata impedisce appunto di vedere le radici più profonde e insieme più nascoste di questo eterno conflitto.
Noi per primi non vogliamo cioè vedere quanto Ebraismo, Cristianesimo e Islam, che convivono più o meno in tensione, più o meno amichevolmente nella stessa area geografica da secoli rappresentino di fatto l’uno l’eresia dell’altro.
E’ vero che per noi, tiepidi cristiani, le Crociate sono finite da tempo, ma è risaputo quanto questioni dottrinali abbiano acceso e accendano ancora gli animi di tanti, abbiano provocato scismi, anche in tempi recenti, e resi necessari concili….
Per la pace in Medio Oriente si invocano a più riprese cessate-il-fuoco, si raccomandano sforzi diplomatici, si organizzano incontri multireligiosi di preghiera, ma bisognerebbe forse anteporre a tutto seri, sinceri incontri teologici, e non perché rabbini, muezzin e papi si limitino a snocciolare mano nella mano preghiere a Dio (tanto è lo stesso per tutti, come ci ha assicurato Bergoglio), ma che comincino a guardarsi in faccia e a dirsi con chiarezza che la radice del problema è nella reciproca, malcelata intolleranza.
Insomma va detto che l’intolleranza è legata a quello che crede ciascuna delle parti coinvolte, la questione è “idea-logica” prima che politica o territoriale. Per altri versi, in Ucraina la situazione è analoga: se Putin e Zelenski non fossero su posizioni opposte (il ripristino della Grande Russia da una parte, la sequela del modello occidentale dall’altra) non avrebbero più bisogno di rivendicarsi territori: si riconoscerebbero parenti. (O quasi.)
Del resto, per le tre fedi del Medio Oriente, rappresentare gli uni l’eresia degli altri non importerebbe neanche tanto se quelle tre fedi non convivessero nello stesso fazzoletto di terra. E qui la lettura religiosa si tinge di fantascienza: il genius loci di quelle terre. Che racchiude un mistero.
Qui sospendo il giudizio e mi pongo domande. Perché mai le tre grandi fedi monoteistiche del pianeta, di riffa e di raffa si trovano tutte lì? Perché sono nate, convenute, approdate, ritornate esattamente lì? Che cosa c’è di esoterico, magico, sacro a Gerusalemme e dintorni? A questo puno vorrei il sostengo di Indiana Jones per scavare un tunnel e scoprire che magari lì sotto è sepolto un magnete proveniente da Marte che ha ispirato e continua a ispirare dalla notte dei tempi a noi altre povere popolazioni terrestri l’idea sconvolgente, rivoluzionaria di un Dio unico. Che probabilmente, senza questo aiuto marziano, non ci avrebbe sfiorati mai.
Ed ecco allora che ciascuno dei popoli investiti e graziati da questa intuizione così profonda e grandiosa rivendica a sé il primato della sua corretta comprensione e del suo giusto sviluppo, della sua giusta applicazione, sempre e comunque nella assoluta fedeltà a quelle terre dove tale rivelazione fu compiuta per la prima volta. Ecco perché quelle terre continuano ad essere così gelosamente rivendicate, custodite ma rimangono anche intrise di sangue.
La tensione del Medio Oriente, al di là degli sviluppi politici che potrà avere, non può ridursi a una questione militare di difesa dal terrorismo o territoriale o di confini. Non possiamo dimenticare che alle spalle dei contendenti c’è e rimane Dio. Non perché si combatta apertamente in nome di Dio – sarebbe anacronistico – ma è precisamente una diversa, anzi una “opposta” concezione di Dio ad accendere gli animi. Insomma, al fondo, in Medio Oriente ci si spara in nome della coscienza, non in nome dei confini.
E c’è da credere che quando Bergoglio arriva a dire che Dio è lo stesso per tutti, stia maldestramente tentando di convincerli che stanno combattendosi invano, che non si sono accorti di credere alla stessa maniera, che Torah, Vangelo e Corano sono solo tre traduzioni diverse di uno stesso testo. (Il che sarebbe peraltro l’unica scusante a una simile assurdità pronunciata da un pontefice).
11 ottobre 2024