Per ascoltare invece di leggere:
Mi affascinano le costruzioni alte e solitarie. I fari, le torri di controllo, i minareti, i campanili.
I grattacieli no, mi danno ansia, a starci dentro e anche a guardarli da fuori: formicai verticali, suggeriscono rumore, iperattività, affollamento. Quella esposizione altezzosa, quella sfida al cielo in nome dell’ottimizzazione dello spazio ricorda comunque l’orrore delle Twin Towers. O il crollo del grattacielo in costruzione in Myanmar a causa del recente terremoto. Promemoria del saggio proverbio: “chi troppo in alto sal cade sovente… precipitevolissimevolmente”. (La famosa parola più lunga della lingua italiana: un …grattacielo orizzontale!)
Il rischio della improvvisa caduta dall’alto dovrebbe valere anche per fari, torri di controllo, minareti e campanili. E invece no. Sono alti, sì, ma umilmente. Sono “creature” di servizio, sulle quali la minaccia di un crollo vendicativo del destino sembra non attecchire.
Io non ho mai avuto il complesso dell’altezza. Non sono una pertica, neppure una nana, e dunque non va addebitato alla mia persona l’incantamento per gli edifici svettanti. I maliziosi parlano di simboli fallici: la mia passione nasconderebbe una ninfomania repressa. Pensino ciò che vogliono: un faro sarà pure la controfigura di un membro virile e alluderà pure al desiderio di una sessualità liberata. La sostanza non cambia. Quello che conta è l’altezza umanizzata e non boriosa. Il vecchio contadino raccomanda di osservare le spighe: quella vuota sta diritta, presuntuosa, fiera. Quella piena è umilmente curva, sotto il peso dei chicchi che contiene. A differenza dei pretenziosi grattacieli vuoti di intenzioni, i fari, le torri di controllo, i minareti e i campanili, pure se dritti contro il cielo, sembrano empaticamente protesi verso terra, inchinati a servizio dell’umanità come giganti buoni.
Da bambina sognavo di diventare guardiano di un faro. Anche oggi quella solitudine non mi dispiacerebbe. Peccato che i fari ormai sono teleguidati. Anche dentro una torre di controllo mi piacerebbe rendermi utile, fosse soltanto come addetta allo spolvero delle consolle. Dei minareti e dei campanili mi incanta l’apparente inutilità: tutta quell’altezza solo per dare un segnale alle anime, per far sentire un richiamo alla preghiera, un tocco di campane.
L’altezza è impegnativa, ma anche generosa di prospettive. Dobbiamo essere grati a chi ci guida dall’alto della sua esperienza, della sua saggezza, delle sue conoscenze, o della sua profondità. “Alto” e “profondo” non sono opposti, ma speculari. Io imparo da persone e cose che stanno in alto per riuscire scendere più in basso.
Ma c’è una novità nel mondo delle prospettive aeree. All’immobilità del faro o del campanile, oggi si aggiunge la spericolata e maliziosa mobilità del drone, che sdrammatizza l’altezza in una panoramica curiosa e quasi scanzonata. Oggi vorrei essere un drone. Guadagnare uno sguardo complessivo e comprensivo, libero e sfarfallante. Sfidando me stessa a sentirmi in alto eppure rimanendo in qualche modo sempre con ii piedi per terra. E’ solo dopo avere conquistato l’umile altezza della pietas, che riusciremo a comprendere la grandezza del mondo ma anche le infinite piccolezze degli uomini: le debolezze, i trucchetti, le meschinerie, le ingenuità e le piccole ripicche ci appariranno allora come i tetti delle case visti da un aereo: pezzi di vetro colorato che brillano al sole.
19 aprile 2025