Per ascoltare invece di leggere:
Prenoto un tavolo a un noto ristorante vicino casa mia, molto trendy. Il sito internet abbonda di dettagli sulla cucina (biologica), sulla originalissima location dentro una antica serra, sugli arredi dantan e di gran gusto, sulla competenza del personale e sui contenuti esclusivi. Alternativo quanto basta.
Note di merito segnalate da apposite icone: piatti cosmopoliti, piatti vegani ( a richiesta), spirito benefit ed ecologico, certificazione B corp (data solo alle società più virtuose, rispettose cioè dell’ambiente e dei consumatori) e infine… LGBT friendly.
Come, scusa?
Sì, LGBT friendly. Proprio come se fossero cani. Come dire: animali ammessi. (Oh, quanto la voglia di apparire avanti tradisce invece QUANTO siamo indietro…!)
Come sarebbe LGBT friendly? Esistono forse ancora locali in cui lesbiche, gay, bisessuali e trans sono esclusi? E qualora lo fossero, in che modo verrebbero riconosciuti, additati ed eventualmente cacciati fuori a pedate? Nel senso: un cane lo vedi che è un cane. E se non vuoi farlo entrare in un ristorante o in un albergo, non hai dubbi, e appena compare all’ingresso, subito indirizzi il padrone in un altro locale dichiaratamente dog friendly. Ma un LGBT? Perché non dovresti essere friendly e ospitale verso di lui, di lei, di loro? E se vuoi esserlo – davvero – perché ti senti in dovere di specificarlo?
Il marchio LGBT friendly, nelle intenzioni garanzia di illuminata apertura mentale, svela tutti i pregiudizi di chi si è sentito in dovere di inserirlo. Per il proprietario o gestore di un ristorante o di un hotel – non dovrebbero esistere lesbiche, gay, bisessuali o trans. Dovrebbero esistere persone, ospiti. O no? O forse lesbiche, gay bisessuali e trans hanno esigenze alimentari diverse da quelle degli altri? Mangiano forse radici, tuberi, sassi? Dormono testa in giù o all’in piedi?
E’ proprio vero: il peggiore razzismo è quello radicato negli antirazzisti, la peggiore discriminazione è quella che si nasconde nelle rette intenzioni di chi persegue l’inclusività universale, scaricando sulla società residui di nazismo ancora da estirpare.
Ma se fossimo davvero LGBT friendly, non avremmo bisogno di dichiararlo. Così come, per esempio, non ci sogniamo di dichiarare di essere accoglienti verso i bambini. E’ naturale esserlo. Anzi è normale…
Ma anche “normalità” è parola bandita, e non bisogna più usarla. E nel mondo in cui la norma è ritenuta nazista, c’è chi sente il bisogno di specificarlo: gli anormali sono miei amici, io sono amico degli anormali. Perché in quella specifica LGBT friendly c’è precisamente quella offesa, ovvero quella tremenda equazione che è ancora dura a morire proprio grazie a chi si illude di cancellarla: LGBT = anormali!!!!!!
A volte si perde un’ottima occasione per tacere. A volte troppe parole invece di chiarire, oscurano. Riportano cioè nell’oscurantismo.
7 luglio 2024