Ovviamente fa discutere la condanna inflitta al gioielliere di Grinzane Cavour (ben 17 anni) che nel 2021 uccise tre rapinatori, autori di un colpo maldestro nel suo negozio. Eccesso di legittima difesa. Le telecamere raccontano impietosamente i fatti: il gioielliere inseguì per strada i suoi rapinatori, freddandoli a colpi di pistola e accanendosi a calci su uno dei cadaveri. Ora il dibattito si apre fra chi vorrebbe tutelata a qualsiasi costo la difesa dei propri beni e chi teme il far west, la giustizia fai-da-te.
Oggi a Padova i funerali istituzionali della povera Giulia, uccisa dal suo ex che non tollerava di essere stato lasciato, di non “possederla” più.
Uno dei segnali della perversione del nostro tempo può ritrovarsi forse proprio nel tema della proprietà, al centro di eccessi e nevrosi spesso incontrollabili. Iniziò Marx a processarla, condannandola alla fine senza appello: “la proprietà è un furto”. Ovviamente, nell’ottica del socialismo, la proprietà esclusiva di un bene potrebbe ritardare, se non ostacolare la realizzazione di una società equa. Questo impalpabile “fumo” ideologico si è diffuso progressivamente anche nelle nostre società opulente e capitalistiche, divenendo l’erba che le classi agiate hanno spippacchiato per darsi un tono, per dirsi avvertiti dei modelli politici e sociali più giusti. Fermi restando i loro conti in banca ben schermati.
Alla fine, in pubblico ma soprattutto in privato, tra i ricchi come tra i poveracci, chi rinuncerebbe serenamente ai pochi o ai tanti euro accumulati, agli ori di famiglia, alla casa acquistata a prezzo di enormi sacrifici o ereditata dal caro estinto? Nonché alla tentazione di considerare proprietà il partner? (“Sei mio, sei mia”).
La proprietà definisce la persona, nel bene e nel male. Stigmatizza la nostra grandezza e la nostra meschinità, comunque ci conferma che esistiamo.
Magari fossimo farfalle o passeri. Magari riuscissimo a credere a Gesù quando ci domanda se la vita non vale forse di più del cibo o se il corpo non vale più dell’abito che lo ricopre. Magari riuscissimo davvero a prendere lezione dai passeri che non seminano, non mietono né accumulano nei granai eppure vengono nutriti comunque da Dio. Noi persone abbiamo bisogno delle cose, inutile illuderci del contrario. Fino al punto di considerare cose le altre persone.
Pensiamo alle case dei vecchi, piene di cimeli, ricordi, medicinali, scorte alimentari, fotografie… Le cose (e il denaro, loro surrogato e “annunciatore”) sono la fortezza che illude il vivente di potersi schermare dalla dissoluzione, di vivere in eterno.
Noi siamo sangue e acqua, fluidi, respiro… Siamo “liquidi”, come confermano le recenti teorie sociologiche. O anche siamo “della stessa sostanza dei sogni”, come avvertiva Shakespeare.
Nelle “cose” sembra invece resistere un’ombra di quella solidità delle civiltà e delle persone di un tempo, che non temevano di affermare se stessi, di tracciare un solco per fondare una città, di erigere mura per difenderla, di fondare metafisiche, di credere in valori certi, immutabili.
Il “sacro” relativismo del presente, che ci fa sentire colpevoli ma sotto sotto fieri di avere un conto in banca, deforma, esasperando o condannando, l’atto del possedere, fino a equipararci a vile carta moneta, a farci confondere cose e persone.
E’ la proprietà, è l’insopprimibile vizio dell’avere, il differenziale della storia. Dimmi come e cosa possiedi e ti dirò chi sei. Non solo e non tanto un ricco oppure un pezzente, ma una persona oppure una cosa. Contagiata dalla stessa miseria di quello che hai accumulato e che sempre ti manca.
5 dicembre 2023
Carlos Santana, Love of MY life