Per ascoltare invece di leggere:
Quanto è consolatoria l’intelligenza. Ti consoli quando la trovi, innanzitutto perché è rara. E dunque ti sorprende. Ieri sera, a Roma al teatro Marconi, presentazione “camuffata” del libro di Giuseppe Manfridi Le favolette di Wittgenstein. Già camuffare una presentazione libraria in un mini-spettacolo teatrale è un’operazione intelligente. Per non parlare del contenuto del libro stesso, in cui il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, studioso soprattutto di logica e filosofia del linguaggio, rappresenta un ironico, intelligente spunto.
In tempi pervasi dalla seduzione per l’intelligenza artificiale, volendo invece di nuovo rassicurarci sull’intelligenza umana, verrebbe da parafrasare il celebre passo della prima lettera di san Paolo ai Corinzi, par 13, dedicata all’amore:
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l’amore, non sarei nulla.
Proviamo a sostituire alla parola “amore” la parola “intelligenza” e avremo la sintesi dell’estetica multiforme e atipica di Giuseppe Manfridi.
Dall’intelligenza all’estetica? Sì, il gioco è proprio questo: Wittgenstein non è stato scelto a caso da Manfridi per raccogliere le cosiddette favolette, che in realtà sono aforismi estesi, fulminanti parabole, apologhi sornioni quanto sconcertanti. Wittgenstein, teorico del linguaggio e della fatale sconnessione fra parola e realtà, appare il rivelatore di una seconda, inevitabile realtà: quella della poesia, della finzione, dell’arte.
“La cosa più importante è sempre un’altra cosa”, diceva un vecchio amico. Non a caso la più famosa opera di Wittgenstein, quel Tractatus logico-philosophicus considerato fra i testi più importanti della filosofia del novecento è rimasto di fatto incompiuto e l’autore considerava più importante proprio la parte ancora non scritta.
In bilico fra realtà e parole che la rappresentano, e contemporaneamente la espongono a continui dubbi, malintesi e sviamenti, il pensiero di Wittgenstein si ritrova così a sorpresa applicato nelle favolette di Manfridi, di cui ieri autore e relatori, il critico Marcantonio Lucidi e il regista Claudio Boccaccini (che porterà prossimamente le favolette in teatro) hanno dato un rocambolesco, guascone assaggio in palcoscenico, passandosi baldanzosamente la parola in uno scambio di levità e di pensieri densi, in perfetta coerenza con lo spirito del testo.
In una delle ultime favolette Wittgenstein si chiede perché mai i suoi allievi non ridano alle sue lezioni, come lui desidererebbe. “Di qui la vera ambizione di Wittgenstein, confessata a quanto pare solo in punto di morte: elaborare un intero sistema filosofico composto unicamente di gag e di battute comiche!”.
A confermare ancora una volta quanto la leggerezza di una favoletta, e lo stesso riso o sorriso suscitato dal suo autore, possa rispecchiare con più autenticità l’equivoca, fuggevole sostanza della realtà che ci circonda e che noi stessi siamo.
Questo e molto altro in Le favolette di Wittgenstein di Giuseppe Manfridi pubblicato da Edizioni Efesto.
26 ottobre 2024
PS Solo una notazione critica, beninteso da parte di una CONTROpaladina delle quote rosa. Un po’ troppo maschile e un po’ troppo âgée il team del delizioso pseudospettacolo inscenato ieri sera. (Goliardia e autoreferenzialità da ex compagni di scuola). Mi sono chiesta perché una presenza femminile avrebbe decisamente stonato su quel palco. Mi sono risposta: perché noi donne siamo sempre e comunque personaggi tragici, prendiamo sempre tutto per vero. Forse siamo poco …intelligenti.