Ma l’amore no è il titolo di una canzone degli anni quaranta. Me la cantava mia mamma, che l’aveva ascoltata tanto per radio, durante gli anni della guerra, quando era ragazzina. Ho scritto di getto questo libro all’indomani della sua morte (anno 2010), per alleggerirmi dal peso terribile del senso di colpa di non aver retto allo shock emotivo di vederla deperire. E’ iniziata così una lotta con me stessa per cercare di fermare da qualche parte la sua storia, per metà drammatica e per metà felice, e di renderle un omaggio postumo che fosse anche una richiesta di perdono per la mia fragilità di fronte alla sua malattia. Contagiata dalla formula delle interviste impossibili, ho iniziato così a dialogare non con lei, ma con me stessa, con quella me stessa bambina che aveva assorbito il meglio dell’età e dell’energia vitale di mia madre, mentre alla me adulta erano rimaste solo le amare briciole della sua vecchiaia. Il romanzo, se così si può chiamare, è dunque una conversazione fra me e me, fra la me di oggi e la me di ieri, entrambe alla disperata ricerca di costruire un’immagine grata e fedele di Giuliana De Luca Belli, mia mamma.
Ho impiegato più di dieci anni per convincermi a pubblicare questo testo che, tra tempi editoriali e ripensamenti vari, vede la luce ben quindici anni dopo quel lutto (2025). Decisiva , in questo, è stata l’accoglienza di Roberto Russo di Graphe.it che ha incoraggiato il progetto con la cura “genitoriale” che profonde sempre in ciascuno dei libri che pubblica. Di questo lo ringrazio dal profondo del cuore. Lo ringrazia la me piccola e la me adulta. Anche per questa intervista.