Per ascoltare invece di leggere:
Visto ieri uno spettacolo teatrale che mi ha perdutamente annoiata. Dirò peccato ma non peccatore, per non risultare scortese e crudele nei confronti di chi evidentemente ci ha sudato tanto, sotto tanti punti di vista. (Ma a mio parere invano. Disperdendo energie nella direzione sbagliata) Sarei tentata di dichiarare esplicitamente titolo del lavoro, autore, interpreti e produzione, perché la drammatica perdita di una vera critica teatrale (positiva o negativa che sia) è uno degli aspetti del decadimento culturale in corso. Ma evidentemente questo decadimento ha colpito anche me, se non ho il coraggio di espormi con riferimenti espliciti. Del resto gli interessati (pubblico e spettatori) capiranno comunque a che cosa e a chi mi riferisco. E le mie considerazioni spero siano utili in senso generale.
Aspettavo la replica di quest’opera da tempo, perché mi attirava l’annunciato contagio fra parte verbale e coreografica. Si tratta in effetti di un originale mix di teatro e danza.
Nella presentazione dell’autore-regista mi ha colpito però in negativo la frase spot: “non è altro che una storia d’amore”. Perché sminuire, perché dover ricondurre tutto nei canoni ordinari della “solita” storia d’amore? (Cominciamo male!) Perché evidentemente lo stesso autore è il primo a sentire ancora il bisogno di “scusare” il racconto di un amore omosessuale. Al contrario ogni autore dovrebbe vantare l’eccezionalità della storia che racconta, non la sua ordinarietà. Non dovrebbe cercare di omologarla o di farla passare inosservata, ma di renderla straordinaria e ben visibile.
E che cosa rende straordinaria una ordinaria storia d’amore? Che sia fra due uomini? Spererei di no. In questo caso sarà piuttosto il modo di raccontarla attraverso quell’originale mix di parole recitate e movimenti del corpo. Si apprezza infatti il grande studio che evidentemente è stato fatto nella parte coreutica, e nell’incastro registico fra acrobazie e parole. Ma purtroppo erano acrobatiche anche le parole. Cioè eccessive.
Nell’insieme abbiamo assistito a una specie di tango: drammatico, enfatico, troppo teatrale per essere allestito in teatro, e non so se mi spiego. Sapevano di tango anche le battute (che poi abbiamo scoperto essere poesie). Se non che la preziosità di un tango, anche ben ballato, (come pure della poesia, anche ben composta) sta nella sua brevità. Qui al contrario “la musica” (la musica delle parole) non finiva mai. E quando anche un solo spettatore si accorge della lunghezza di uno spettacolo, significa che la poesia del testo è stata sprecata, che è stata offesa nella sua migliore virtù: la sintesi! Certi passaggi verbali modellati sullo schema musicale dell’ostinato (con ripetizioni ossessive di uno stesso attacco) vanno bene per qualche secondo, non di più. Mai abusare di un espediente letterario. Mai abusare di qualsiasi espediente, piuttosto allontanare sempre con ogni mezzo la prevedibilità di qualsiasi meccanismo, nonché del finale, che era chiaro fin dal principio.
Altra osservazione: i due attori. Uno più credibile, l’altro decisamente no. Enfatici anche loro, accademici e dunque appunto poco credibili, ma soprattutto male assortiti. Voci troppo simili, spesso indistinguibili, nudità sbattute in faccia al pubblico fin dall’inizio, senza il gusto della progressione verso la reciproca scoperta di sé dei protagonisti, fosse anche attraverso la malizia di una banale tecnica spogliarellistica.
Tirando la linea: c’è ancora troppa bacchettoneria e ingenuità in chi, con tutte le migliori intenzioni, cerca di liberare certi temi e di realizzare qualcosa di veramente nuovo. Alla fine i primi schiavi del conformismo sembriamo essere proprio noi anticonformisti.
Il pubblico era tanto e sembrava convinto, (la sensazione è che fosse in buona parte un pubblico selezionato e un po’… “di parte”) e questo consolerà certamente la compagnia, ma ormai tutti i pubblici applaudono tutti gli spettacoli, ed è importante ricordarselo, tenendo conto invece anche e soprattutto di chi non applaude, sempre che si voglia evolvere in meglio nel proprio lavoro.
27 ottobre 2025
