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NON C’E’ NIENTE DA RIDERE

 

Tutto fa sorridere nell’opera e anche nella persona di Marco De Angelis, vignettista e disegnatore raffinato. I suoi personaggi, spesso schiacciati da tristi e implacabili destini, muovono a tenerezza e a pietà, mentre al contrario la sua presenza  bonaria, il suo sorriso accattivante, la sua mole robusta e insieme tenera ispirano ottimismo. A ben vedere però, i suoi pensieri disegnati (riduttivo definirli vignette) scavano nella crudeltà del destino umano, incidendo taglienti come bisturi nell’irresponsabilità e nelle follie del pianeta. E allora davvero, pur sorridendo compiaciuti per la finezza della sintesi di ogni piccolo capolavoro di De Angelis, ci si rende contro che non c’è niente da ridere.

Incontro questo geniale autore all’Accademia d’Egitto, in occasione di una sua mostra lì svoltasi nello scorso aprile. Momento perfetto per rivolgergli alcune domande, trovandolo generosamente disponibile a rispondemi. 

Sei consapevole di risultare feroce e candido nello stesso tempo? Pensi che questa possa/debba essere una caratteristica della satira, o almeno di una certa satira?

Il mio intento è sempre stato di far satira in questo modo e ormai nella ricerca dell’ idea e del messaggio umoristico mi viene spontaneo dare questo taglio ai miei disegni, sempre senza parole. Ho sempre amato creare i miei commenti grafici usando un cocktail in cui sono mescolati (non agitati) ironia, acidità, cinismo e leggerezza. Ma le dosi possono cambiare: talvolta il commento può essere più duro e traumatico, altre volte più sottile e penetrante. Ci sono altri stili, con battute o senza, ma a me piace soprattutto questo tipo di linguaggio umoristico.

 Le tue vignette sono pensieri visivi, concetti disegnati, talmente sintetici e fulminanti da far pensare che nascano come una folgorazione del tuo sguardo interiore, cioè senza passare per la mediazione della logica o della riflessione astratta. Se l’impressione è giusta, come ti raggiungono queste visioni? (poco a poco, istantaneamente, mentre dormi, mentre ascolti il giornale radio etc etc)

In effetti, sebbene l’idea possa venire qualche volta dopo ore di ricerca dell’ispirazione originale, se dedicata a un tema particolare, quasi sempre è una folgorazione. È una vera e propria lampadina che si accende (la rappresentazione dell’idea come una lampadina nei fumetti corrisponde alla realtà…), mentre la mente vaga tra altri pensieri, o  come risultato di una concentrazione tantrica, oppure quando non te l’aspetti, magari mentre sei fermo al semaforo, come un impulso quasi spirituale. Delle volte sembra che il cervello continui a cercare l’ispirazione per conto proprio mentre sei intento in altre cose e poi d’improvviso appare l’idea perfetta!

 I tuoi personaggi sono simpatici e insieme patetici. Simpatici perché patetici, a volte meschini. Ti fa pena l’umanità? Hai qualche speranza per il futuro di questo pianeta?

I miei personaggi nel loro aspetto caricaturale sono per la maggior parte anonimi e infatti  rappresentano l’umanità  nella sua patetica realtà, con i suoi difetti, le sue meschinità, le paure, una diffusa ottusità… Io sono un inguaribile ottimista, ma è veramente difficile intravedere un futuro migliore per questo nostro mondo, per quanti tentativi si possano fare, tra ambiente, società, conflitti di ogni genere. 

 Forse il vero umorismo alla fine non fa tanto ridere, quanto piuttosto pensare. Il tuo certe volte fa commuovere, perfino rabbrividire. Insomma di fronte alle tue vignette si ride, si piange e ovviamente si pensa. Sei cresciuto con modelli “emotivi” di riferimento? (per esempio un certo cinema, una certa letteratura il cui “mood” è così stupendamente misto?)

Ho subito amato quell’umorismo che con l’uso della metafora e del paradosso riesce a far ridere o sorridere, magari a denti stretti, e al tempo stesso a far pensare. Talvolta usando un tocco di poesia può anche commuovere. Può essere un ragionamento immediato, oppure più meditato, ma sempre il disegno deve contenere un messaggio, che sia leggero e a suo modo accattivante, o che sia forte, che colpisca cioè i sentimenti e la sensibilità del lettore. Non ho modelli emotivi di riferimento, in fondo il mio meccanismo creativo è il risultato di tanta letteratura di ogni tipo o di tanta cinematografia,  e ovviamente solo in parte di genere umoristico, perché anche nelle storie vere o nel dramma si può cogliere bene l’ispirazione. Si può essere “toccati” dal caustico humor di Mark Twain come dall’introspezione di Ingmar Bergman.

Da bambino che cosa disegnavi?

Un po’ di tutto, mettendomi sempre alla prova nel cercare di realizzare anche immagini complesse. Per esempio, se vedevo un film come Gli Argonauti o Ventimila leghe sotto i mari o leggevo un libro di Salgari, ecco che riempivo fogli su fogli di guerrieri greci, di progetti di sottomarini o di pirati malesi all’assalto. Il taglio umoristico dei miei disegni, però, è sopravvenuto molto presto grazie soprattutto al genio di Jacovitti, le cui incredibili tavole mi fecero capire sin dai primi anni di età che con la fantasia tutto era possibile.

   Immagino che ogni vignetta nascerà secondo un proprio percorso creativo. Ti va di raccontarci la genesi particolare di una vignetta in particolare?

Se si tratta di un fatto di attualità ovviamente devo subito aggiornarmi e leggere o vedere in tv o sul web le notizie. Per me la vignetta satirica, soprattutto se politica, deve essere un vero e proprio articolo di giornale e quindi, seppure umoristico, deve fondarsi su qualcosa di documentato. La ricerca dell’idea e la realizzazione possono essere condizionate dalla fretta di inviare all’agenzia o al giornale il proprio disegno, oppure si può avere più tempo e si può con calma scegliere tra più soluzioni grafiche o di contenuto. Quando realizzavo una vignetta al giorno per i quotidiani (tenendo conto che fino alla fine degli anni ’90 erano richieste esclusivamente in bianco e nero) era una costante lotta contro gli orari di redazione che mi ha temprato non poco e mi ha reso molto veloce.

Se scelgo autonomamente un argomento su cui realizzare un disegno, invece, posso impormi di concludere il lavoro con una determinata tempistica (se ho una consegna da rispettare) o procedere con tutta calma. Il lato tecnico, inoltre, ha la sua importanza, soprattutto per me che lavoro ancora a mano con carta, pennini, pennelli, inchiostri, acquerelli e matite (non posso permettermi di sbagliare…) e che uso il digitale, eventualmente,  soltanto per un po’ di post produzione.

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