Per ascoltare invece di leggere:
LE DOMANDE
Perché invidio la pacatezza con cui subisce la più grave tragedia per un genitore?
Perché già da mesi ha scritto un libro su sua figlia e ha messo la foto di lei in copertina?
Perché parla troppo in televisione, rispondendo alle interviste?
Perché dichiara di non odiare l’assassino di sua figlia?
Perché anche lui commenta rispettosamente la sentenza di ergastolo lasciando però intendere tra le righe la sua insoddisfazione ( la condanna per omicidio non sarebbe sufficiente essendo rimasti fuori rimasti fuori crudeltà e stalking… )
Perché è andato a Montecitorio a presentare la Fondazione intitolata a Giulia? Perché ha incontrato il ministro Valditara?
Perché anche lui parla di “violenza di genere”, ripetendo all’infinito un’espressione a mio parere discutibile? Perché si mette i distintivi?
Perché sostiene, seguendo un altro cliché, che tale violenza non si combatta con le pene ma con la prevenzione?
Perché dichiara con soddisfazione, a proposito della Fondazione Giulia Cecchettin, che a volte il dolore si trasforma in uno scopo?
LE RISPOSTE
Quella pacatezza non mi convince, sarà anche frutto di un esercizio di pietà cristiana, ma vederla esibita mi disturba, mi sfida, mi pone domande poco cristiane, mi ingenera sospetti.
Perché tante persone, dopo una tragedia, si impegnano in fondazioni, associazioni, scritture di libri, dichiarazioni pubbliche, con la motivazione ufficiale di volersi impegnare per evitare il ripetersi della tragedia, per il bene di altri. Ho sempre pensato che cerchino semplicemente di distrarsi. Scopo lecito, certamente, ma non sarebbe meglio dichiararlo?
Perché le interviste televisive aumentano solo il rumore, una indiscriminata e volgare visibilità di ogni cosa, confondendo spesso il sacro col profano, equiparando il giusto e l’ingiusto, scopi nobili e scopi ambigui.
Perché la violenza di genere è una confezione mediatica e demagogica degli ultimi anni: esistono uomini che uccidono donne così come donne che uccidono uomini e perfino i propri figli.
Perché il rispetto verso le sentenze dovrebbe rimanere tale, non generare commenti di maggiore o minore soddisfazione. Una sentenza, per di più di ergastolo, non è l’esito di una partita o di un esame all’università. E chi chiede pareri in merito, sa di cercare scandalo. Una sentenza dovrebbe chiudere le bocche.
Perché il fatto di affermare, in queste dichiarazioni e interviste, di non odiare l’assassino della figlia, aumenta per Gino Cecchettin il sospetto sulla integrità della sua pietas: se tale, come la carità, andrebbe coltivata nel silenzio, nel fondo della coscienza, a tu per tu con uno psicanalista o un confessore. Oppure diventa buonismo. Se davvero vuole esserci da esempio agisca di conseguenza e stia alla larga dalle telecamere, davanti alle quali tutto si trasforma in melodramma.
Perché è ovvio che le pene non azzerano i delitti e le violenze, ma invocare la prevenzione è ovvio quanto generico. E perché per affermare questa ovvietà abbia dovuto incontrarsi col ministro Valditara è altrettanto generico e sospetto.
Perché comunque si espone. In aula, alla Camera, negli studi televisivi, nelle scuole…. Perché non sembra sensibile all’esempio dell’altra sua figlia, Elena, che è apparsa fin da subito più sincera, forse meno ingenua, data la giovane età, sulla manifestazione della sua sana rabbia verso il tragico evento.
Perché sembra dimenticare una tragica verità: per quanto comunicato, rielaborato, sublimato, condiviso, urlato o non urlato etc., il dolore ci scaglia di fronte a noi stessi.
4 dicembre 2024