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Come ci svegliavamo quelle mattine di marzo di quarantasette anni fa? Era un marzo un po’ livido, con poco sole, come se il piombo avesse ingrigito anche il cielo. Dopo la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro tutti sapevamo che la storia d’Italia stava cambiando, ma ignoravamo in quale direzione: ci svegliavamo nello sconcerto e nella paura.
Già da una decina d’anni sapevamo bene che cos’era il terrorismo, ma adesso eravamo entrati in una nuova fase. Fino ad allora erano stati colpiti uomini comuni o professionisti: ora il salto di qualità portava più in alto le mire dei rivoluzionari. Si colpiva lo Stato.
Ah già, lo Stato. Il fantasma della pubblica amministrazione, della burocrazia, della finanza collusa con le mafie, delle manovre partitiche occulte, delle insondabili alleanze con le grandi potenze mondiali, degli interessi economici camuffati da altisonanti programmi elettorali.
Ora la rivoluzione era per le strade ma anche nei palazzi. Fu soprattutto l’incertezza su come gestire il gioco crudele dei brigatisti a tenere sulla graticola un paese intero per 55 giorni, a gettare lo scompiglio tra le istituzioni e tra i partiti.
Tutti, incluse le eminenze grigie che fino ad allora avevano contato sula propria inattaccabilità fisica e morale, si sentirono improvvisamente in pericolo, accomunati agli uomini e alle donne di strada, che potevano restare vittime di qualche attentato semplicemente andando in banca a ritirare la pensione al mercato a fare la spesa.
Dunque ci svegliavamo, tutti, con un’inquietudine nuova e indefinibile. Soprattutto con la sensazione che, al di là della caccia al tesoro dei volantini e delle interpretazioni dei messaggi deliranti dei terroristi, al di là della pantomima della ricerca del covo dove Moro era tenuto prigioniero, ci fosse una regia superiore, di cui gli stessi terroristi, o meglio di cui gli stessi ideali (distorti, febbrili, vaneggianti e pure in qualche modo “giusti” ) dei terroristi erano strumenti e attori inconsapevoli.
Oggi, a quasi 50 anni distanza, quel marzo così grigio ancora ci interroga sul destino paradossale del nostro paese: da sempre nel mezzo del mondo. E’ questa un’interpretazione italo-centrica? E’ un fatto che la geografia, nel culmine di quegli anni di guerra fredda, non ci permetteva di sviluppare progetti politici autonomi, per quanto saggi ed equilibrati, che non tenessero contro della tensione fra due metà di mondo. Non potevamo dimenticare che la partita si giocava in casa nostra: le pure intenzioni di Moro non potevano restare fresche in un mondo che ribolliva, non potevano restare neutre in un mondo di così feroci contrapposizioni.
Il caso Moro fu un promemoria della nostra fragilità: di tutti noi cittadini smarriti, governanti impauriti, politici sopraffini, studenti attoniti, tutti noi attori di una storia che resta illeggibile ancora oggi.
18 marzo 2025