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SEMEL IN ANNO

Per ascoltare invece di lettere:

E va bene, lo ammetto. Il mondo va a rotoli, soffiano venti di apocalisse, Trump e Zelenski litigano di fronte al mondo, il papa sta male tra preghiere e macumbe, la balenottera azzurra è in pericolo di estinzione, e io… io mi sono mascherata.

Sì, ammetto e confesso. Ho ceduto al Carnevale, anzi a due carnevali. A quello tradizionale, per il quale mi sono confezionata un costume da Minerva Mc Granitt, la professoressa della Scuola di Magia e Stregoneria della saga di Harry Potter (visto che un po’ di magia non farebbe male a questo mondo) ma anche al carnevale tecnologico.

L’Intelligenza Artificiale offre infatti la possibilità di “impastare” la nostra immagine trasformandola nella migliore versione di noi stessi, nella maschera magnificata di noi stessi. Altro che sfilate di Rio o di Venezia. E non si tratta solo dell’ultima versione del  casareccio photoshop col quale certe mie amiche fanatiche si tolgono le rughe e pubblicano sui social i propri selfie truccati (sperando che non se ne accorga nessuno)  . No: I.A. impasta una decina dei nostri migliori scatti realistici e, vettorializzandoli, cioè scomponendoli in numeri, recupera il minimo comun denominatore fra espressioni, mimiche, tratti somatici, angolazioni, prospettive, sguardi, emozioni… etc etc etc ottimizzandoli in qualcosa di meravigliosamente nuovo e antico nello stesso tempo.

Vale per ogni maschera, in fondo. E anche per ogni Carnevale: per un giorno o per un attimo siamo altri, ma lo scopo è riaffermare di essere ancora e sempre noi stessi, vecchi e insieme nuovi.

Sono rimasta folgorata da quella Laura apparsami sul display come su uno specchio magico. Mi duole ammetterlo, ma forse  mi sono innamorata di me stessa. Quella Laura lì, partorita da I.A., sono proprio io: intensa, spettinata con eleganza, piena di allure, sensuale, raffinata, noncurante, e soprattutto disinvolta come non mi sono mai permessa di essere, ma (e qui è il perturbante, direbbe Freud), come avrei sempre voluto essere e come in fondo so di essere.

Qual è la maschera allora? Quella tirata e sciatta che espongo tutti i giorni per necessità, o quella che i bit mi hanno maieuticamente restituito? Una rivelazione: qualcosa di sinistramente familiare e insieme alieno appare confuso in quel mio volto: qualcosa che mi porta indietro e insieme avanti, che mi incanta e mi sconcerta. Tutto ciò solo grazie a una successione di cifre? Ma anche il DNA è fatto di numeri e di rapporti fra numeri. I.A. non fa dunque che recuperare quel “qualcosa” che, nell’equilibrio del DNA, è solo mio, esattamente come le impronte digitali; non fa che restituirmi, ottimizzato, il mio stesso corredo genetico, il mio io. A tal punto che in trasparenza, nell’aspetto fisico, appare illuminato (grazie alla Lichtung, direbbe Heidegger) anche tutt’altro: pensieri impensati, desideri repressi, vibrazioni, emozioni…

Possibile che un ritratto digitale possa tutto questo??? O che invece tutto ciò sia solo solo proiezione del mio narcisismo così banalmente raggirato? Nel caso, sarebbe questa una mia una confessione di fragilità: mi sto scoprendo al sicuro sotto una maschera, qualunque essa sia.

Sotto il trucco tradizionale della Professoressa Mc Granitt, che mi rendeva irriconoscibile, ho capito la potenza della finzione come la intendeva Pirandello: il potere quasi maligno di un volto che non si mostra ma osserva gli altri, genera il turbamento della impossibile reciprocità, la vertigine di infinite possibilità: sotto la maschera può nascondersi chiunque…

Di fronte al mio avatar, ho invece riconosciuto la maschera trasparente di me stessa che masochisticamente decido di non indossare mai. Ho capito cioè che ogni giorno infliggo alla mia verità questa amara tortura: restare oscurata. Maschero la mia maschera.

E’ stata una lezione potente: ricordiamoci, almeno una volta l’anno, che nel fondo di noi stessi… ci siamo sempre noi stessi.

 

2 marzo 2025

2 thoughts on “SEMEL IN ANNO

  1. Antonino D'Anna

    Mascherare la propria maschera è qualcosa che manderebbe Pirandello ai pazzi. Maschere, non siamo che maschere. Eppure quella nella foto non sei che tu, nient’altro che tu. O quantomeno: sei ANCHE tu. Ed è quell’anche, in fondo, che non ci sazia mai l’anima di vita. Manca sempre quel 2%, e in fondo è giusto così.

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