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SI’, VIAGGIARE

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Di recente sono stata per qualche giorno in Egitto. Un paese troppo “distante” per poter essere visitato autonomamente, senza il supporto di una guida o di una qualche organizzazione turistica. Chi mi conosce sa che non amo viaggiare. Pigrizia, esposizione a facili attacchi d’ansia, acciacchi vari mi impediscono di desiderare altro che casa mia. Viaggiare per vedere non mi entusiasma. Non sono curiosa abbastanza di questo mondo. Altro è viaggiare per uno scopo, per una missione di lavoro, per incontrare o ritrovare qualcuno… Per questo andrei fino in capo al mondo.

Come previsto, a fronte della fatica necessaria per affrontarlo, anche questo viaggio esclusivamente turistico non mi ha entusiasmata, anzi mi ha molto stancata. In compenso mi ha provocato l’ennesima folgorazione circa il significato della distanza.

La distanza è una categoria molto permeabile: riceve una quantità di stimoli dal nostro tempo e a sua volta lo permea e lo plasma. Abbiamo superato vertiginose distanze in tutte le direzioni… eppure restiamo distanti gli uni dagli altri.

Sì, l’Egitto è un paese distante da noi. Ma se è per questo ce ne sono di ancora più distanti. E’ distante da noi nello spazio e anche nel tempo, se si pensa alla sua storia e alla sua civiltà millenarie, che precedono le più domestiche glorie di Grecia e Roma. E’ distante anche nei costumi, nella povertà di certe aree, nella religione… Ma non è questa la distanza più “lancinante” che ho potuto registrare laggiù.

La distanza più tragica è quella che separava turisti di mezzo mondo bulimici di scatenare i loro cell su templi, geroglifici e piramidi …da quegli stessi templi, geroglifici e piramidi virtualmente catturati sugli schermi. Si può guardare senza guardare. E senza sapere che non si sta guardando niente, se non il simulacro di ciò che si crede di guardare. Insomma si può rimanere disperatamente distanti da ciò verso cui si rivolge lo sguardo. E tanto più inadatti a comprendere il senso di ciò che guardiamo.

M chiedo sempre che cosa rimane di un viaggio verso un sito storico, di una visita a un celebre museo nel cuore della maggioranza delle persone così orgogliosamente avide di averli fotografati. Il più delle volte niente più che la certezza di esserci stati. Di più: la prova documentale di esserci stati. Ecco perché clic a tutto spiano. Ci si appunta una medaglia sul petto, si fa una tacca sul fucile a riprova di ogni bestia feroce uccisa, si porta a casa il trofeo da mostrare agli amici.

Ma il trofeo, nella sua meravigliosa solitudine, nel fulgore della sua storia autentica, rimane per fortuna laggiù, tra i venti del deserto, implacabilmente solitario e lontano, nonostante le infinite flotte di turisti e a dispetto di tutte le noiose e puntigliose spiegazioni, infinitamente replicate, di guide volenterose e preparate. Il trofeo – il monumento, il capolavoro – rimane lontano da noi e dalla nostra comprensione, dalla nostra commozione e soprattutto dalla nostra vita.

E del resto… Ho visto fiumi di persone bramose di farsi immortalare sul cammello, accanto alla Sfinge, sulla diga, sulla feluca, nella pittoresca casa nubiana, col cucciolo di coccodrillo in mano, all’entrata della moschea…. Perché sarebbero così smaniosi di fondersi, in quell’illusorio attimo del clic, con i simboli più diffusi del paese visitato, se non per confermare la certezza di esserne perdutamente lontani, se non perché quella distanza resterà comunque incolmabile nell’indifferenza della quotidianitù che riprende inesorabile per ciascuno di loro, di noi?

Il turismo di massa è una delle conferme di quanto la Distanza ci sfidi e ci smascheri: divorando chilometri e fusi orari, affrontando ore e ore di volo, conquistando l’arrivo nei paesi più remoti ed esotici del pianeta … sperimentiamo che l’ansia di “vedere posti” non si esaurisce mai, e che un viaggio scatena immediatamente il bisogno del successivo, in una sequela di destinazioni imprecisate che mimano il viaggio inesorabile e senza meta del mistero della vita. Che si sposta sempre un po’ più in là, che ci rimane inarrivabile per definizione. Infatti è la distanza da noi stessi che nessuno si sogna di voler superare. Infatti siamo noi il viaggio sempre rinviato o scansato.

Per questo, visti da fuori, i turisti per caso tradiscono il languore e l’impossibilità di arrivare. Vicinissimi alla base della Piramide, con la mano immersa nelle limpide acque del Nilo, aggrappati alla gobba del cammello, restiamo comunque soli, lontani da tutto e soprattutto da noi stessi.

 

2 giugno 2025

 

A proposito di distanza come categora filosofica.
Giovedì 5 giugno, alle 17,30, a Roma, presso La Nuova Pesa Centro per l’arte contemporanea, in via del Corso 530, sarà presentato il mio libro Distanza  che inaugura la Collana “Indicativo Categorico” diretta da Lucio Saviani per le Edizioni TerreBlu.  La Collana eredita e continua, riprendendone il titolo, la riflessione e la proposta teorica di uno dei seminari annuali che Lucio Saviani ha tenuto dal 2015 al 2019 proprio presso La Nuova Pesa.
Gli attori Arianna Ninchi e Pino Censi che leggeranno brani tratti dal libro di De Luca e da testi di Saviani.
La Collana INDICATIVO CATEGORICO cerca risposte alla domanda: in che termini è possibile pensare il nostro tempo? Può cioè la contemporaneità diventare “discorso”? E’ possibile un discorso, una riflessione “sulla” contemporaneità? Il concept prevede una serie di testi che,  a partire da una singola” voce” del nostro tempo,  cerchino di tradurlo e raccontarlo a noi stessi che ne siamo i protagonisti.
Il Libro Distanza ipotizza che la distanza sia una categoria specifica della contemporaneità: dall’esaltazione per il suo superamento grazie alla diffusione dei mezzi di trasporto e di comunicazione, alla ricomparsa del suo fantasma sotto forma di alienazione e incomunicabilità per tutto il novecento, secolo del progressivo scavarsi di tragici divari fra opposte ideologie e fra diversi strati sociali. In circa 100 pagine ecco un piccolo catalogo sulle varie forme che la distanza ha preso nel nostro tempo marchiando di sé cose e persone. Attraverso una serie di voci di dizionario apparentemente slegate (Alienazione, Deserti, Fake, Liquidità, Viaggi…) si individua il fil rouge di quella vocazione al vuoto e alla separatezza che sembra essere lo speciale destino degli uomini del terzo millennio.

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