Per ascoltare invece di leggere:
Volevo essere solo una voce. Volevo non avere faccia, neppure corpo. E invece da qualche tempo “lavoro” in teatro. Diciamo gioco. Mi espongo in palcoscenico senza ritegno e senza paura. Grazie alla complicità di Renato Giordano & c. e del Teatro Tordinona, dove è in corso la seconda edizione della rassegna “Le interviste impossibili – Dalla radio al palcoscenico”.
La rassegna è appunto una eredità del mio lavoro in radio, dove potevo permettermi appunto l’invisibilità, scorporarmi da me stessa e cercare di assomigliare solamente ai miei pensieri. Mica poco. Dopo tanti anni di lavoro dentro studi ermeticamente chiusi, forse questa dell’invisibilità è diventata una deformazione professionale: e d’altra parte chi non ha desiderato almeno una volta nella vita di diventare davvero invisibile?
Certo, in radio siamo invisibili ma lo è anche chi ci ascolta. Non sappiamo chi sia là fuori, che faccia abbia, se ci stia ascoltando con attenzione oppure facendo altro, se sia simpatico o antipatico, davvero interessato a noi o annoiato della vita etc
Ma del resto neppure quello sconosciuto là fuori sa come siamo fatti noi, se siamo troppo magri o troppo grassi, se siamo goffi o eleganti, pallidi o abbronzati, affascinanti o repellenti…
Siamo invisibili alla pari.
In teatro, al contrario, noi espositi sul palco, e tutti gli altri nascosti nell’ombra. Liberi di annoiarsi, di sbadigliare, oppure di incantarsi a quello che diciamo, come lo diciamo.
Volevo essere solo una voce.
E invece le circostanze mi hanno costretta a diventare anche un corpo, un’entità fisica.
Ebbene, dai riscontri dei filmati, delle fotografie, non mi riconosco. E’ una dissociazione tipica dei principianti, in qualunque campo. Anche i giovani allievi in radio dopo i primi provini non riconoscevano la propria voce.
Io non riconosco il mio corpo. Ma ho qualche ragione in più per questo.
Un corpo è comunque greve rispetto alla leggerezza del pensiero.
Certamente gli attori esperti sanno come ridurre questa “pesantezza” della fisicità, anzi sanno addirittura addomesticarla alle esigenze del personaggio.
Ma a pensarci bene, forse tante delle nostre nevrosi contemporanee, derivano proprio dal mancato dialogo fra il nostro dentro e il nostro fuori, tra il contenitore e il contenuto. O meglio dalla divisione che qualcuno ci ha indotti a creare fra dentro e fuori, magnificando solo l’apparire. Così alienati, siamo comunque scontenti di noi, alla perenne ricerca del miglioramento del nostro involucro: fitness, chirurgie, skin care, massaggi, diete…
Non faremmo prima a migliorare il nostro interno, facendolo convinto di assomigliare comunque a se stesso?
E tuttavia, io continuo a desiderare di non avere corpo.
Devo preoccuparmi?
Ho raggiunto la pace dei sensi, mi basta abbracciare il cuscino?
Se fossi una top model la penserei ancora così?
Se non fossimo nell’era della virtualità, in cui saluti e baci viaggiano senza scandalo, chirurgici e veloci su incorporei messaggi whatsapp la penserei ancora così? O pretenderei di condividere almeno un bacio sotto il vischio?
A Natale Dio si è incarnato. Ha accettato, ci spiegano i preti, di farsi uomo. Di avere un corpo, non solo una voce, come era il Dio di Mosè sul monte Sinai. Quel Dio che metteva paura, perché nessuno lo aveva visto mai
Avere un corpo comporta responsabilità, sacrificio, coerenza, affinché non ci siano più scarti dentro di noi, affinché quello che siamo corrisponda veramente a quello che siamo. Affinché non ci siamo trucchi, e l’apparire non sia altro rispetto all’essere.
Volevo essere solo una voce. Non preoccuparmi di sorridere o di essere seria, di rimanere salda o di tremare dall’emozione.
Essermi esposta in teatro, in nome della finzione, sta spingendo il mio corpo a diventare comunque trasparente. Strano ma, anche sotto i riflettori, scopro che esiste un rifugio dove nascondersi restando comunque se stessi. Sarebbe la verità, che oltrepassa qualsiasi mascheramento pesante. Che ci rende comunque leggeri e taglienti come la luce.
22 dicembre 2024