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INFINITE SINDONI Volti di Cristo nella storia contemporanea

E’ un omaggio alle sofferenze misconosciute di uomini e donne,quasi sempre lontani dai riflettori e dalle prime pagine, progettato per una pubblicazione periodica di qualità. Brevi testi e immagini affiancati.

L’acquerello a mezza tinta vuole evocare il grigio delle pagine dei quotidiani, “liquidificato” e insieme … liquidato dalla opinione pubblica e dalle coscienze di tutti noi.

“…Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” dice Gesù nel Vangelo. (Matteo 25, 40)

I fratelli più piccoli sono le vittime della storia contemporanea, colpiti da esodi, carestie, siccità, guerre, persecuzioni, miserie, povertà, sterminii, alienazioni, solitudini… Dalle pagine dei giornali e dai reportages della televisione ci guardano eloquenti tanti poveri Cristi , infiniti simulacri dello sguardo di passione del Figlio di Dio, che non si distoglie mai dall’umanità: dentro questo sguardo non posso non specchiarmi, per ricordare i drammi degli uomini del nostro tempo e l’urgenza di una pietà che trascenda ogni tempo…

1.

La prima stazione è un angolo
di casa,
ospizio
o cronicario
Lì dove riporre gli indesiderati,
inguardabili nei reticoli
di rughe,
ognuna col suo nome,
ognuna una figlia
dai neri capelli
che alleva l’ingratitudine.
Per quelle assurde,
calpestate strade
fa piccoli passi il mondo
verso una sua redenzione.
Fagotti,
i gesti ricevuti
nell’arco di una vita
che si lasciano seminare
in sentieri di bava.

2.

La seconda stazione
è un letto
dove una donna
rassomiglia a un uomo,
un uomo a un altro uomo,
un uomo a un vecchio,
a un bambino.
Il mucchio è il vivente,
numerificato, astratto,
la stessa cosa che la sua malattia.
Aggrappata alla grata quando l’ingrata figlia
le volge le spalle,
la mano di mamma
tiene chiuso nel pugno
il suo addio,
mentre orfano le cade,
per terra,
il fazzoletto.

3.

La terza stazione è casa tua,
dove tra quattro pareti
devi murarti l’urlo,
intonacare il dolore
quando ti consumano
la più disumana violenza:
lasciarti stropicciata nell’angolo,
dimenticarti usata.
Tu,
mansueta donna strofinaccio,
imbrattata di sugo e sangue.

4.

La quarta stazione è una strada
scacchiera di asfalto e polveri,
assurde schiene come lavagne
sempre voltate altrove.
Là dove la mano si apre,
intollerabile la pietà si sprigiona,
ma inutile, smarrita, strana.
Così, con il suo profumo
la rosa può ucciderti,
vendicarsi dell’indifferenza del mondo,
di quei calcagni che schiacciano
fronti.
Gli occhi a terra troveranno,
per terra,
l’unico possibile cielo.

5.

La quinta stazione è un muro
dove fucilano
lasciandoli esistere,
ma trasparenti,
cioè quasi invisibili,
i figli.
Eppure avranno gridato,
di dolore o di gioia
nel metterli al mondo,
nel trovarli al mondo
i figli,
le trasparenti creature.
Oggi sono ombre accennate
sul muro,
dove per esecuzione
tuona l’indifferenza.
Eppure li avranno,
per un attimo riconosciuti,
nel dare loro un nome
per non più pronunciarlo…

6.

La sesta stazione è una prigione.
Due metri per due,
oppure stanze come bauli
quei corpi ammassati,
ripiegati e sovrapposti,
ferite mischiate,
le recinzioni come unici abbracci
d’acciaio.
Poi sotto la branda
lo scarafaggio
tristemente in carovana
canta una litania
irriconoscibile
che ti piacerebbe ascoltare,
condividendo pane e acqua.
Spine e graffi sulle pareti,
conducono l’uomo topo
a rosicchiare gli anni,
scoprendo
che la vera trappola è l’altro,
il carceriere.
Fino a scoprire così
d’essere ognuno
la propria prigione.

7.

La settima stazione è una città di macerie,
l’ho vista,
l’altro ieri,
due secoli fa.
Erano bombe,
terremoti
a crearla così filigrana
merletti di fondamenta,
pareti sfondate,
trasparenti intonaci sul punto
di venire giù, sfarinando,
crollare.
In quelle polverizzate misture
di stoviglie e fotografie
e forse corpi umani,
si impasta l’inferno.
E un uomo,
la fuggevole ombra,
si aggira stupito
di non riconoscersi davvero
fantasma.

8.

L’ottava stazione è un istituto.
In cima alla scala c’è una luce,
una specie di giorno,
mentre alle loro spalle nude,
una famiglia di ombre lavora a tessere
assenze,
da fili
di angosciose notti.
Il futuro sa
di rinsecchito ciambellone,
nell’anonimo refettorio
la forchetta
sbattuta contro un piatto
spaventa più del tuono.
I figli di nessuno
si tengono per mano,
perché nel vuoto ci ricordiamo
quell’ essere
ostinatamente fratelli.

9.

La nona stazione è un’anima.
E’ un luogo imprecisato
senza bordi,
senza scafi,
senza carreggiate,
abitata da stranieri muti,
da tenebrosi
insetti,
che conserva memoria delle dogane.
Le infinite strade proibite,
e certi schiumosi mari cobalto
non navigabili
la circondano,
capigliatura di fuoco.
E’ il più nascosto luogo
di tutti,
stazione dimenticata,
viaggio mai intrapreso,
ossa di lacrime.
L’anima,
cioè l’aria,
il respiro del tutto
o quello che resta.

10.

La decima stazione è una periferia,
quella degli avanzi,
dove cartoni e plastiche spurie
piangono desolati consumi,
restituiscono untuose briciole
di qualcosa,
lercia sciacquatura
che cola da stropicciate ricchezze.
Tu passi,
edificando castelli
e castelli in aria:
le anonime strade,
calpestii di miserie,
variamente assortite
ti divaricano i percorsi,
e le lune.
Dentro una bottiglia di plastica,
buona per ogni uso,
riesci,
anima di candore,
a imprigionare il vento…

11.

L’undicesima stazione è un fronte di guerra.
Una trincea spalancata,
il deserto che si lascia ferire
E le esplosioni che mischiano le sabbie,
aggrovigliano i corpi, dispiegano le fughe.
Non ancora nella paura,
l’uomo appende al reticolo
l’antico sapore di minestrina
e si volta.
E’ il nemico
il peggiore strazio:
la maschera pietrosa
di una fraternità di tenebre,
i lineamenti contratti.
L’irriconoscibile Altro
è un volto
che ci assomiglia.

12.

La dodicesima stazione è una trincea
È la guerra che verrà domani,
l’assalto di ragni e di truppe
sconosciute,
gli uomini avvolti in armature sottili,
con metalliche lenzuola come turbanti
e lamine di nuvole contro la fronte,
aspettando.
Nebbie di chimiche chimere
oscurano il sollievo,
proibiscono il sonno,
murano le narici.
La guerra,
tatuata sul cuore,

tramuta uomini e sassi
gli uni negli altri.
E anche il verde cielo
orizzontale sipario
preferisce distendersi
addosso alla terra.

13.

La tredicesima stazione è un campo profughi,
il provvisorio riparo
nel fango; le lacrime
raccolte
in bacinelle di plastica
azzurro elettrico.
La lampadina illumina
residui di dignità,
a scova in solchi
di rughe di mani
coriacee, annerite.
Bisogna sporcarsi
per condividere.
Estirpate anime
che l’esilio
momentaneamente
fonde
e poi sparpaglia
in lamenti.

14.
La quattordicesima stazione è la fame.
Che si scava torbidi cuniculi
intestinali,
percorsi di follia,
assuefazione,
distanze.
Chicchi,briciole, frammenti
denudano stomaci
rivoltandoli in bocche
dai tenui sorrisi:
il poco sfama
il mondo.
Sboccia un grazie
soltanto
dalla nuda zolla
nera.

INFINITE SINDONI
Volti di Cristo nella storia contemporanea

testi e disegni
Laura De Luca