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MA NON ERA UN FESTIVAL CANORO?

“Parlate male di me purché ne parliate”. Non basta la lucidità di Oscar Wilde per mitigare la mia irritazione di finire a parlare anche io del Festival di Sanremo. Ma non era un festival canoro? Nel qual caso non ne parlerei affatto, non ho la competenza sufficiente. Purtroppo negli anni è diventato ben altro, l’ennesimo strumento del potere per addormentare i cervelli.

Primo. Achille Lauro e l’autobattesimo. Che perfino L’Osservatore Romano non se ne scandalizzi e non si scomponga non mi scandalizza e non mi fa scomporre. Certi cattolici temono come la peste di passare per bacchettoni, al punto da non voler più distinguere neppure tra bianco e nero, tra sacro e profano. Io, che sono agnostica miscredente, invece mi addoloro se qualcuno entra con gli scarponi da sci in un territorio delicato come la fede degli altri. La fede degli altri –sia cattolica, animista o pagana- dovrebbe essere considerata con lo stesso rispetto che si pretende di tributare per esempio alle donne, o a tutte le categorie fragili del mondo. Anche la fede degli altri è terreno fragile, fragilissimo. Ma evidentemente ci sono fragilità e fragilità.

Secondo. Quella versione disco-salsera di celebri canzoni tristi messa in scena dal conduttore e dal suo complice nella puntata d’esordio. La prima canzone, incredibile a dirsi, è stata “Vedrai vedrai”, splendido e malinconico inno di chi si sforza di sperare nel domani. Scelta di pessimo gusto, visto che fu composta da quel Luigi Tenco che due anni dopo averla scritta e dedicata a sua madre, incompreso da pubblico e critica, si tolse la vita proprio durante un Festival di Sanremo, anno 1967. Ignoranza? Leggerezza? Vilipendio del dolore altrui? Possibile non se ne sia accorto nessuno?

Terzo. Le cosiddette co-conduttrici. Una più bella e provocatoria dell’altra, una per ogni sera. Nessuno si è accorto della beffa? Il gallo rimane uno. E l’aumento del numero delle galline non le rende meno tali (sempre col rispetto dovuto a ogni singolo pennuto), tanto meno rende un maggior tributo alla figura della donna, come invece si vorrebbe far credere. Tutto al contrario, non cascateci. Le co-conduttrci sono solo la versione presunta evoluta delle vallette, un harem occidentale. Moltiplicare le presenze femminili non è affatto prova di femminismo, ma solo perseveranza nel vizio di abusare della figura femminile, in un senso o nell’altro.

Quarto. Il comico antiomofobo. A me non fa ridere neanche un po’ e credo di essermi addormentata durante la sua prima apparizione. Ma fa lo stesso, come se lo avessi ascoltato. Mi chiedo solo quando questi esponenti del diritto al relativismo e alla fluidità si accorgeranno di essere diventati monolitici campioni di assolutismo. E pertanto urticanti.

Quinto. Il palinsesto di RaiUno stravolto in funzione del Festival di Sanremo. Detto altrimenti: non si parla d’altro. Anche trasmissioni che fino a ieri si occupavano di politica, costume, cronaca, medicina o ricette di cucina sono sottomesse all’unico tema del giorno, ai soli dibattiti del momento, sugli abiti della Berti o gli exploit dei Måneskin piuttosto che sulle problematiche del PNRR o sul nuovo mandato di Mattarella. Perfino il Covid non esiste più, che siano  guariti tutti? Verrebbe il sospetto che vi sia coscienza, nei vertici Rai, nonostante gli sbandierati ascolti record, dell’assoluto disinteresse da parte della gente per il Festival, e della necessità di convincerci a seguirlo comunque. Magari per impedirci di pensare ad altro. O per consolarci delle gravi tensioni degli ultimi mesi (il potere è magnanimo, questi sono i “circenses”!)

Sesto e ultimo. Il cosiddetto monologo infinito della cosiddetta attrice mulatta. Ma si può ancora dire “mulatto”? O dovrò dire “caffellatte”? O dovrò far finta di non accorgermi del colore della sua pelle, nonostante sia lei stessa ad averne fatto la sola bandiera e il solo motivo del suo pensiero (ammesso che ne abbia uno)? Ma perché nessuno ha pensato di mandare lei al Quirinale? E se fosse lei la vera razzista? E proprio contro se stessa? E come faremo noi dalla pelle bianca, etero, non appartenenti ad alcuna minoranza minacciata, ad avere ancora un pensiero, ad avere diritto a un monologo? Il verbo antirazzista della perseguitata è stato lo spettacolo più umiliante e irritante cui abbia potuto assistere in televisione con la scusa dei pregiudizi, con la scusa del razzismo, con la scusa della musica. Povera musica. Ma non era un festival canoro? E poveri noi. Basta così. Da stasera esco, oppure mi guardo un film su Sky.

3 febbraio 2022