Lei è la morte. Un faccia a faccia inevitabile che costantemente rimuoviamo, arrivando perfino a non nominarla mai. E’ il tabù dei nostri tempi in cui anche la naturale estinzione della vita viene burocratizzata, alienata, delegata, digitalizzata. Ringrazio David Nieri di edizioni La Vela, conosciuto in seguito a un’intervista a Franco Cardini, per il coraggio e l’entusiasmo di aver pubblicato queste riflessioni fin troppo spietate. Attraverso un diario personale che, dall’infanzia alla maturità, segue le tappe della mia progressiva presa di coscienza della realtà del morire, dialogo con “lei” in persona, la vecchia signora, cercando di “addomesticarmi” al pensiero di lei, secondo gli insegnamenti di Socrate, per cui la filosofia non era che un addestrarsi alla fine. Però c’è un colpo di scena conclusivo…
Dall’incipit:
La prima volta che ti ho visto eri con mia nonna.
O forse dentro, addosso a lei.
La nonna era sempre la nonna, con la sua faccia, il suo fisico robusto, e insieme non lo era più. Ora aveva qualcosa in comune con un soprammobile, un vaso di fiori, insomma una cosa. Manteneva il suo aspetto, era riconoscibile e nello stesso tempo straniera, solenne, sprofondata in un altro luogo inaccessibile, concentrata altrove, distratta e scansata da noi, presa in una lontananza e come in uno strano egoismo che la portava a tradirci, a dimenticarci.
Sei tu quella solennità, quell’egoismo, quell’altro luogo distante e insieme prossimo, quel tradimento, quella misteriosa somma delle singole parti che è sufficiente a riconoscerti, ma non a definirti.
Chi sei?
Te lo hanno chiesto un’infinità di persone prima di me, e altrettante te lo chiederanno ancora nei secoli. Con stupore, con una specie di stupidità, con reverenza, con soggezione, con un vago timore, con rabbia.
Te lo hanno chiesto i cavernicoli che ancora non avevano l’uso della parola e i più grandi scienziati, filosofi, ed artisti.
A nominarti fai paura, e io invece voglio provare ad addomesticarmi a te, come raccomandava Socrate, per cui la via della filosofia non consisteva che in questo: addestrarsi alla povertà del morire, ovvero all’essenza e non all’assenza del vivere.
Uno ti ha chiamato sorella, ma era un santo.
Io preferisco “finitudine”, in italiano ha un suono gentile, che richiama la fine ma sembra quasi allungarne il suono in una blanda promessa, in una richiesta di perdono, che fa rima con inquietudine ma anche con beatitudine. E soprattutto con “abitudine”.
Ecco, io voglio fare l’abitudine a te.
Provare a pensare che tu non sia una frattura, un altrove, un distacco.