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DI SOLITO A TEATRO MI ADDORMENTO

Di solito a teatro mi addormento. E’ più forte di me. Forse, come osserva qualcuno, non abbiamo più i tempi di attenzione di una volta. Intendo filogeneticamente. E’ di tutta evidenza che la specie umana sta evolvendo verso un livello di attenzione sempre più labile. Dall’era del telecomando a quella di internet la concentrazione media dei nostri cervelli su un unico argomento è quantitativamente ridotta a pochi secondi, qualitativamente siamo prossimi a pregnanza zero: se lo stimolo o la risposta non arrivano immediatamente, ci si rivolge altrove. Si cambia canale, si cerca un altro motore di ricerca. Oppure, come nel mio caso, ci si addormenta in platea. Certe poltrone lo consentono. E dispiace dirlo proprio nel momento in cui cinema e teatri riaprono faticosamente a dispetto del Covid, ma forse il crollo dell’attenzione di fronte a uno spettacolo dal vivo dipende anche dalle scelte ripetitive di alcuni teatri stabili, o al contrario da sperimentazioni troppo eversive (e in questo senso velleitarie e altrettanto noiose) di certe produzioni indipendenti.

Poi a volte accade il miracolo, come nel caso di Variazioni enigmatiche di Eric-Emmanuel Schmitt che ho visto  ieri sera al Parioli di Roma (ultima replica) per la regia di Matteo Tarasco con Glauco Mauri e Roberto Sturno. Mi sono ricordata improvvisamente di che cos’era, o di che cosa dovrebbe, essere il teatro. Il teatro era o dovrebbe essere ritmo, musica, tensione, idea, commozione, suspence, sorpresa… E molto altro.

Schmitt è un autore molto contemporaneo, rappresentato in tutto il mondo, che nei suoi testi offre grande attenzione al tema dei rapporti umani. Glauco Mauri, in compagnia da anni con Roberto Sturno, è  un gigante del teatro italiano, forse fra gli ultimi rappresentanti di quella generazione di attori che unisce rigore e naturalezza, rispetto dello spettatore e consapevolezza della funzione sacra di ogni finzione scenica. Azzardo un’ipotesi. In questi giorni è riapparsa la guerra in Europa, Mauri nella sua adolescenza ha visto la guerra da vicino: la coscienza del dolore e del riscatto, il confronto duro con la realtà sono evidentemente radicate anche in chi come lui, ha scelto il mestiere del teatrante, solo in apparenza un gioco. E Sturno è il suo degno compagno ed allievo.

Un gioco serissimo è quello che ho visto in scena: due uomini si incontrano per un motivo che si rivelerà pretestuoso. Un giornalista e un premio Nobel per la letteratura. Il primo chiede un’intervista al secondo. Di sorpresa in sorpresa, di rivelazione in rivelazione, emergerà un legame tra i due molto più profondo e radicato nel tempo di quanto all’inizio non si possa immaginare: al centro una figura di donna, pirandellianamente contesa tra i due e motivo del loro rapporto, non solo passato, ma anche futuro.

Io devo ringraziare dal profondo del cuore Glauco Mauri e Roberto Sturno per questo spettacolo: per la scelta del testo, innanzitutto, che premia in modo ottimale la loro dualità. Per le eccellenti interpretazioni, come è quasi scontato che sia: non ho visto in scena solo due interpreti perfetti nei loro ruoli, ma appunto il miracolo del ritmo, della musica che nasceva spontanea dal loro serrato dialogare. Non a caso lo spunto della pièce è dato da una composizione musicale  di Edward Elgar, Variazioni Enigma, pure evocata nel testo, il cui tema guida, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe rimanere misterioso e nascosto nelle diverse variazioni. Talmente misterioso e nascosto che Elgar stesso avvisò che nella sua composizione è presente un secondo tema guida “più ampio e che percorre tutto il lavoro, senza essere mai suonato per intero: come in alcune pièces teatrali, il personaggio principale non è mai in scena”.

E così l’assenza-presenza del personaggio attorno a cui ruota lo spettacolo diventa precisamente una musica che i due interpreti ci restituiscono dal primo istante all’ultimo: un’architettura perfetta che, in tutte le sue variazioni emotive e intellettuali, tiene lo spettatore vigile fino alla fine. Nel mio caso, so che rimarrò risvegliata nel profondo da quello cui ho assistito, continuando ad ascoltare dentro di me questa musica misteriosa eppure potentissima di pensiero e parola. E in un’epoca in cui suonano piuttosto le armi, basterebbe questo a fare di me una spettatrice immensamente riconoscente.

Grazie anche al regista Matteo Tarasco  e ad Alessandro Camera per la bella scenografia. Lo spettacolo purtroppo per ora non riprenderà. La compagnia Mauri Sturno torna al lavoro su Re Lear, prossimamente in scena al Teatro Petrarca di Arezzo dal 2 al 4 aprile, poi al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 9 al 14 aprile. E ancora in altri teatri. Grazie a tutti.

 

14 marzo 2022