La pandemia l’ha resa attuale, anzi obbligatoria (l’odioso distanziamento sociale) ma la tesi è che la distanza sia la categoria tipica, nel bene e nel male, del nostro tempo segnato dalla virtualità delle nuove tecnologie, dalla alienazione, dai grandi viaggi e dalle grandi migrazioni… Il libro è un “divertimento serio” che raccoglie un catalogo di voci (come di vocabolario) che descrivono il ventunesimo secolo alla luce appunto della distanza, a volte cercata, a volte fuggita, con la quale dobbiamo comunque tutti fare i conti, a cominciare da quell’abisso che si apre perfino nell’intimità fra due che si amano: anche l’amore è distanza, ci ricorda che nessuno è mai “di un altro” fino in fondo. Il libro è il secondo della collana “Venturo Venturo” delle edizioni Armando. Ne abbiamo parlato in webinar il 18 febbraio 2021.
Dall’incipit:
Scrivo un omaggio alla distanza perché sono figlia della troppitudine, della sovrappopolazione, della saturazione, del benessere, delle megapoli, perché detesto il turismo di massa.
Perché ho nostalgia dello spazio intorno a me.
Scrivo della distanza perché ho orrore delle iperplasie, perché ho le orecchie piene di rumore, perché non voglio più saperne del villaggio globale che ha avvicinato tra loro tutti gli angoli del pianeta, perché so che cos’è l’inflazione, perché ho gli attacchi di panico nel traffico, perché mi manca Dio.
Dio è la distanza necessaria, il vacuum di cui il nostro tempo ha nostalgia e orrore nello stesso tempo.
E allora è come se scrivessi di Dio.
Forse Dio mi legge, dai recessi di chissà quale cielo.
Elogio la distanza perché la mia pelle è diventata insofferente al non richiesto ammasso di corpi, celluliti, siliconi, fisicità spuria, sesso disperato. E ha nostalgia, invece, soltanto di carezze.
E’ la carezza il germoglio esatto e inevitabile della distanza, l’interfaccia variabile fra vicino e lontano, il pertugio dell’umano, il cardine dell’errore: possiamo avvicinarci oppure allontanarci, sperimentare la repulsione oppure il desiderio, a seconda.
Questo basta.
L’Eros è distanza, benedetta.
Perfino dentro l’atomo, le particelle elementari non stanno così serrate come le immaginavamo, e non esistono amplessi se non in perenne movimento. Tra una particella e l’altra sta lì a “sanguinare” (da quella che i fisici chiamano materia oscura) l’energia…
E che cosa è l’energia se non un’altra declinazione impalpabile, spaziosa e generosa, della distanza, stavolta infinita nei suoi due termini, della partenza e dell’arrivo?
Energia come distanza attiva, generatrice di risultati imprevedibili, motore perennemente in moto, dai cicli periodici degli astri all’invisibile evolvere del seme.
Se la materia stessa è energia, lo è per sconfinare oscuramente in quello che gli antichi pensavano fosse il suo esatto opposto: il vuoto. E così perfino la materia, il nostro presunto limite, alleva in se stessa la distanza da se stessa. Cioè la sua infinitezza.
Scrivo della distanza perché sono in-finita.
Incompiuta, e perciò attratta da ogni possibile compimento…