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INDEBITE CONTAMINAZIONI

Quanto li abbiamo ascoltati. Hanno firmato la colonna sonora di una generazione e non solo di una. A me sembrava di avere amato fin troppo la loro musica, fino a che non ho incominciato a ri-amarla grazie a chi, dopo di me, l’ha amata più di me. Anche io ero pronta quasi per dimenticare, e invece sono tornata indietro a quegli anni passati, con lo sguardo e l’orecchio proiettati agli anni futuri. Miracoli della musica, grovigli  della mente, azzardi spazio-temporali.

Ancora oggi, senti Us and Them e rivedi con la memoria le sequenze di Zabrinskie Point o de Il grande Gatsby, riascolti i telegiornali in bianco e nero con i servizi sulla strage di Brescia o del treno Italicus, ti chiedi come allora che cavolo vogliono questi maledetti delle BiErre, quanto ancora potrà reggere Nixon dopo il Watergate, e che cosa mai vorrà dire per i palestinesi “diritto all’autodeterminazione”, e risenti la voce lagnosa di papa Paolo VI che inaugura l’Anno Santo… Ma che c’è di santo, in quella seconda metà di secolo breve?

Ancora oggi ascolti Echoes, (sì, proprio Echoes!) e annusi quell’inconfondibile odore di canna e di patchouli, fatichi a prendere sonno con l’angoscia rediviva del compito in classe di domani, ti domandi quanto ancora durerà la guerra in Vietnam e perché e di che cosa è veramente morto Jim Morrison, e ti cominci ad annoiare delle imprese spaziali a chiederti a che serviranno, se quaggiù si muore ancora e sempre di fame, e cerchi di consolarti ascoltando anche i King Crimson e i Led Zeppelin e i Deep Purple e i Procol Harum…

E oggi riappaiono, i Pink. Invecchiati, dimezzati, contaminati. Senza più Roger Waters che, si sa, ha lasciato la band già da anni. Riappaiono per sostenere il collega ucraino dal nome impronunciabile che ha interrotto il suo tour negli Stati Uniti per tornare in patria a imbracciare le armi e a difendere il suo paese. E decidono di farlo cantare lo stesso, contaminando i loro leggendari echi psichedelici con la registrazione della voce di lui dalle risonanze bizantine, liturgico-nazionaliste. Nuovi azzardi spazio-temporali. Ogni epoca ha gli azzardi che si merita. Tutto per una buona causa.

Ascolti questo Hey Hey Rise up e non hai bisogno di vedere nulla con la mente: c’è già il video. Già: il video. Oggi non puoi più lasciarti andare e ascoltare a occhi chiusi. Devi ascoltare-vedere. E vedere è sempre quello che ti fanno vedere.  E che cosa ti fanno vedere, oggi, in un video destinato a raccogliere fondi per la povera gente ucraina martoriata sotto le bombe? Ti fanno vedere i palazzi sventrati, le strade piene di macerie, i bambini sperduti, i cani abbandonati, le donne in lacrime, magari anche i cadaveri in mezzo alle strade, le colonne di profughi… Quello che, purtroppo, ci fanno già vedere puntualmente ogni giorno, ogni ora, ogni telegiornale. E così, all’orrore della guerra si aggiunge l’orrore della retorica. La guerra diventa una replica di se stessa. E perfino l’orrore si contamina di déja-vu. E perfino una buona causa si contamina di mala fede, si impolvera di secondi fini.

Il cantante ucraino dal nome impronunciabile ha interrotto il suo tour. Ha smesso di cantare, punto. La sua band ha riposto gli strumenti, i tecnici hanno raccolto le attrezzature. Invece di microfoni e chitarre, qualcuno ha deciso di imbracciare le armi. Switch, silenzio. Almeno per ora. Come nella famosa canzone C’era un ragazzo, che come me

E invece no, grazie alla onnipotente tecnologia, gli hanno fatto riaprire la bocca. Proprio i grandi Pink Floyd. Non discuto le scelte di lui. Come i tanti altri che invocano la pace (in Ucraina, in Afghanistan, in Siria, ovunque) e lo fanno imbracciando le armi. Ma mi ribello contro l’offesa recata al silenzio. In questo mondo così rumoroso (di armi, di fake-news, di video, di insulti, di scemenze, di brutta musica, di sospette operazioni “a sostegno di”) una volta tanto qualcuno decide di tacere, silenziarsi. Era ora. Chi fermerà la musica? si chiedeva quell’altra band nostrana. L’ha fermata, in questo caso, uno che ha ritenuto di avere di meglio da fare. Un’altra buona causa. Scelte sue, problemi nostri, ovvero di tutti. Ma la scelta del silenzio, oggi così rara, andrebbe solennizzata, una volta tanto. E non contaminata, appunto. Non  riconvertita un’altra volta in musica, benché dei grandi Pink Floyd, che stavolta però suona molesta come rumore, pornografica quasi come traffico d’organi o tratta di essere umani. Un’esagerazione? Anche le pause sono necessarie, tra una nota e l’altra. Per distinguere le buone cause dalle operazioni pubblicitarie, ma soprattutto per prenderci il giusto tempo di capire questa nostra insensata epoca e di piangere, silenziosamente, di fronte alla follia umana.

8 aprile 2022