Close

LA CULTURA NON ESISTE

E forse non deve esistere. Se “esiste” la cultura, davvero siamo tutti ignoranti.
Quanto abbiamo pianto per la crisi forzata di cinema e teatri? per la sospensione di concerti, convegni, mostre d’arte a causa della pandemia? Il “mondo della cultura” ha subito un duro colpo, è stato detto. Crisi della cultura.
Quanto abbiamo ironizzato sul fatto che in Italia tutti scrivono e pochissimi leggono? O che si pubblichino per lo più libri inutili, a firma di calciatori o starlet televisive? Crisi della cultura.
Quanto ci lamentiamo del fatto che gli insegnanti siano poco qualificati, per niente aggiornati, che nessuno insegni ad insegnare? La scuola italiana elargisce per lo più informazioni, niente affatto spirito critico. Crisi della cultura.
Quanto piangiamo sulla stasi baronale del mondo accademico, spesso impermeabile alle trasformazioni del tempo presente, ancorato a polverosi meccanismi di trasmissione delle idee (sempre le stesse)? Crisi della cultura.
Quanto vengono invocati sussidi statali? In gennaio infatti è stato finalmente approvato il Decreto Legge Sostegni con 111,5 milioni di euro al “settore” cultura per l’anno 2022. Sussidi alla cultura, crisi della cultura.

Ma che cosa potrebbe voler dire “cultura”? Cultura, coltura, coltivare. Le etimologie non sono capricci della lingua, piuttosto suggeriscono i pensieri che stanno dietro alla lingua, all’origine delle cose.
Le parole “cultura”, “coltura” ci rimandano a campi di grano, miglio, carote, pomodori, meloni o patate. Cibo. Campi continuamente arati, erpiciati, seminati, irrigati, trapiantati, lavorati, fertilizzati, insomma coltivati. Per nutrirsi bisogna faticare.
L’Accademia di Platone, la scuola peripatetica di Aristotele erano campi di cultura, in cui i cervelli dei frequentatori erano costantemente alimentati e monitorati. La continuità, l’attenzione e insieme la naturalezza sono il differenziale della cultura-coltura. E un campo è un terreno vivo, umido e dinamico, in cui, a prezzo del lavoro dell’uomo, qualcosa di nuovo e insieme di antico accade spontaneamente e continuamente.
Al contrario, quella cosiddetta “cultura” che ha bisogno di sussidi, decreti, aggiornamenti, incoraggiamenti esterni alla spontaneità di creatività e pensiero, la definirei più onestamente un settore di mercato.
Chi è oggi il cosiddetto “operatore culturale”? (un’espressione quasi macabra nella sua freddezza burocratica), Forse un professore di filosofia? Un regista da oscar? L’imbrattatele mistificatore che spaccia uno scarabocchio per arte? O magari anche un commesso di llibreria? E perché no allora una cassiera di cinema? Accomunati tutti dalla cosiddetta “industria culturale”…
E chi sarebbe oggi una persona “colta”? Un habitué di sale da museo? Uno spettatore assiduo di teatro solo perché il teatro è un must? O forse un critico d’arte che padroneggi stili e correnti? O il vincitore di un quiz televisivo? O un lettore di bestseller? O ancora un accanito frequentatore di “eventi” culturali?
E che cos’è – spiegatemi- un “evento” culturale? L’ennesimo pretestuoso convegno sul nulla? L’ennesima opportunistica presentazione libraria? La pseudo mostra d’arte sponsorizzata dal critico super pagato?
E che cultura sarà quella che sopravviverà grazie a sussidi statali, sponsor o mazzette? Necessariamente un affare di regime, o un “qualcosa” che dovrà rispondere a condizionamenti ideologici o modaioli o ai gusti del finanziatore di turno.

Ma perché arrivare a concepire un ambito, la cultura, diviso dalla vita di ogni giorno? Più elevato, più esigente, più “impegnato” e dunque separato da tutto il resto? La cultura, quella autentica, è vita. E’ nutrimento terrestre, pane e vino, respiro. E’ quello che pensiamo, se ancora pensiamo.
Ergo la “cultura” non esiste. Meglio. Che la cultura non esista. Che questa cultura pretenziosa e prezzolata non esista. Meglio ignoranti, meglio semplicemente sporchi di terra e fango.
La terra e il fango: forse oggi i soli veri saperi. Ad esserne degni.

 

12 febbraio 2022