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LA SOLITUDINE DELL’ESSERE-UMANO

Ci sono persone che sono fiere di non temere la solitudine, anzi. La vanno cercando. Bisognerebbe avvisarli che la solitudine non è più quella di una volta, non ha più niente di eroico, niente per cui vantarsi. Lo aveva sentenziato Seneca: “La solitudine non è essere soli, ma essere vuoti”. Profetica visione dei nostri tempi, quando ci troviamo addensati in metropoli e centri commerciali, stretti gli uni agli altri, iperconnessi grazie a una rete di dispositivi ultraperformanti, ma anche incapaci di relazioni, privati di direzione e di senso, per l’appunto svuotati. Tutti insieme, soli e dunque inattivi, spenti.

La specie umana lo sa, di essere sola. E non solo in quanto specie, tanto da sperare, favoleggiare, verificare che gli alieni esistano davvero. Lo sa ciascun “atomo” della specie, da sempre. La differenza, da qualche decennio in qua, è che la solitudine è diventata cifra della modernità, anzi condanna della modernità, pegno del progresso. Ma c’è sempre qualcuno che la solitudine non la teme, anzi se ne vanta.  Se non che in questa solitudine contemporanea, i veri alieni siamo diventati noi a noi stessi, senza neppure accorgercene.

Il paradossale contrappasso è raccontato in un libro edito da Edizioni La Vela: La solitudine dell’essere umano – L’individuo nella modernità globalizzata di Enza Galluccio. Citando psicanalisti, sociologi e filosofi, l’autrice ci mette davanti allo specchio del nostro tempo, le cui parole chiave sembrano essere accelerazione e flessibilità, meccanismi imposti dal sistema economico, che non lascia più alcuno scampo all’individuo, stritolato nella marcia forzata di un progresso che, nel promettere a qualsiasi prezzo il superamento di ogni limite, impone l’adattamento acritico a qualsiasi situazione, di fatto erodendo dal ciascuno di noi il più minimo scarto di fragilità, e, insieme, qualsiasi bisogno di sacro e qualsiasi capacità di progetto… Insomma qualsiasi tensione verso l’alterità, qualsiasi slancio al di fuori di noi stessi.

“Potremmo definire l’epoca contemporanea come abitata da uomini e donne i quali si percepiscono (o vorrebbero percepirsi) onnipotenti, avversi alle più semplici frustrazioni, ignari e ostili verso qualunque espressione di fragilità. Essi sembrano obbedire ciecamente alle richieste di prestazioni sempre più flessibili imposte dalla logica dei mercati, tarate su ritmi estranei alla natura degli individui”.

E’ una diagnosi nella quale nessuno faticherà a riconoscersi. La novità è nelle soluzioni che il testo ci propone, non fermandosi alla descrizione del baratro sul quale siamo affacciati e nel quale stiamo rischiando di precipitare, ma suggerendone l’allontanamento, grazie alla ripresa delle passioni qui intese come occasioni di risveglio da quello stato di dormienza nel quale tutti noi sembriamo drammaticamente precipitati: vuoti e dunque catalettici e dunque soli, ovvero con niente da condividere. Soli, cioè vuoti e dunque dormienti, con niente da condividere, e per questo sempre più soli.

Ma c’è sempre il tizio che sta bene così e ne va fiero, beato lui. Bisognerebbe avvisarlo che in solitudine, non condividendosi niente, non si è niente. O meglio non si è molto diversi da statue di pietra, sempre e solo uguali a se stesse, indifferenti ed inerti.

Forse nella terra delle passioni cessa di parlare la solitudine dell’essere umano, e l’esistenza ritorna nelle mani delle persone le quali riscoprono la possibilità di incidere sulla realtà in cui vivono, trasformandola in qualcos’altro. Ecco che ricompare il futuro come possibilità, come quel “divenire” oggi rubato. Rendere possibile il divenire significa donare ossigeno all’essere umano e trasformare la sopravvivenza in vita activa”.

Da quando sono bambina, una delle mie passioni (un po’ da voyeur, lo ammetto) è osservare le persone addormentate. Chi dorme, tradisce la propria inermità, la propria innocenza, la propria nudità, la propria povertà. Chi dorme non ha più niente. Chi dorme è chiuso in se stesso, in un mondo privatissimo, lontano da tutto. Chi dorme non può non suscitare compassione, chi dorme è solo. Grazie a Enza Galluccio per avere “fotografato” questa umanità oggi dormiente, da compatire nelle sue solitudini moltiplicate. Ma soprattutto per averci ricordato la possibilità del risveglio: aperti gli occhi, potremmo accorgerci di altri accanto a noi. Una risorsa, un’occasione, una possibilità di progetti condivisi e, vivaddio, di passione

 

13 aprile 2022