Da qualche tempo mi sono abituata a pensare un grazie al giorno. A rifletterci, ognuno di noi avrebbe ragione a stilarne una serie praticamente infinita. Dal grazie più sostanzioso e felicemente scontato per chi ci ha messo al mondo al grazie più “volatile” per il gesto gentile e occasionale di uno sconosciuto che non incontreremo mai più. Dal grazie da rivoglersi a un benefattore al grazie per avere ricevuto dalla vita infinite occasioni, magari non colte, ma comunque preziose. Eccetera.
Oggi vorrei dire grazie a Gabriella. Gestiva insieme alla sua famiglia (marito, fratello, figlia) una rinomata gelateria a piazza Santiago del Cile, a Roma, fino ai primi di questo secolo. Io mi fermavo lì certe sere tornando dall’Università, per premiarmi con due chiacchiere magari dopo una giornata più faticosa o dopo un esame superato. Era un locale frequentatissimo e sempre affollato. E pieno di allegria, scherzi, battute, dove si captava la dimestichezza complice fra clienti e personale. Gabriella stava in genere alla cassa, in una impeccabile e vezzosa divisa azzurra col colletto bianco. Molto professionale. Un volto da Belle Epoque, di altri tempi. Giovanni Boldini l’avrebbe ritratta volentieri. A differenza del resto del personale, era seria, quasi pensierosa, anche se mai cupa. Professionale e insieme accogliente, elegante e cordiale, quando non ci illuminava col suo sorriso dolcissimo, sembrava a tratti compresa in un pensiero importante, che sovrastava tutte le piccole e grandi urgenze o emergenze che possono verificarsi in un bar gelateria-gastronomia così frequentato. Tra coppe gelato, tramezzini e aperitivi che le sfilavano davanti e di cui seguiva l’andirivieni con attenzione, padronanza e responsabilità, era come se Gabriella pensasse sempre a qualcosa al di fuori di lì.
Rivedeva forse in quel bar la sua mamma, che lo aveva inaugurato negli anni della guerra, con tanta dedizione e sacrificio? Pensava forse a figlia e nipoti, interrogandosi sul loro futuro? Meditava come far felice suo marito Angelo, fuoriclasse del gelato, per aiutarlo a sentirsi ancora più gratificato di quanto gli consentisse quel duro lavoro quotidiano? (Ci pensiamo mai a quanta fatica nascosta c’è, dietro il gusto di rinfrescarsi con un cono o una coppetta…?)
Vorrei dire grazie a Gabriella per quel suo sguardo così serio e presente che riusciva a non offuscare il suo sorriso, per i suoi silenzi discreti, che in una specie di incantamento lungimirante la rendevano sempre vigile e attenta alle esigenze di tutti. (E’ la potenza di noi donne, architravi discrete e “laterali” della casa, della famiglia, dell’impresa, di ogni cosa.)
Grazie per avermi rincorsa una sera fredda in montagna a coprirmi le spalle con un suo pullover. Eravamo insieme in un locale e io ero fuggita all’esterno, in preda a un attacco di apnea. Risoluta, mi rimproverò dell’imprudenza, proibendomi di espormi al freddo. Non pensavo di essere degna della sua attenzione, di lei avevo quasi soggezione. Grazie per quella sua sollecitudine così pronta e così affettuosa che mi consolò di tante cose.
Gabriella se ne è andata ieri, con la stessa discrezione di sempre. Era una mia cugina acquisita. Ma da lei e da tutta la sua famiglia (Lino, Nuccia, Marisa, Stefano, Luciano, Angelo, Valeria, Pupa, Tata, Anna e i gemellini …) più che una parentela, ho acquisito una lezione: di semplicità e dignità, di fedeltà alla vita e a ciò che conta. Grazie Gabriella.
12 luglio 2022