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PIU’ NULLA DA NASCONDERE

Conosco un medico pittore, Massimo Papi, che si diverte da anni ( e si impegna!) a fondere le sue due passioni: l’arte e la dermatologia, coinvolgendo in un congresso annuale esponenti delle due discipline. Dermart è in corso infatti in questi due giorni al Pio Sodalizio dei Piceni, a Roma. La doppia sensibilità di Papi lo ha portato a interpretare le malattie della pelle con il criterio clinico dell’osservazione di linee, forme e colori, e il piacere di paragonare le figurazioni patologiche con aspetti o descrizioni artistiche. Di qui il divertimento di fare ipotesi lep iù fantasiose:  forse il pallore de la Gioconda dipendeva da mal di fegato, forse le guance accese del Ritratto d’uomo da Antonello da Messina erano indizio di alcoolismo, probabilmente l’emaciato Giovane nello studio di Lorenzo Lotto aveva la sifilide… Eccetera.  Insomma la deformazione professionale del medico non molla mai. Perché la pelle racconta. E non racconta solo malattie della pelle ma molto altro, come sapevano bene i vecchi clinici di un tempo che solo dal colorito del paziente traevano indizi se non certezze di varie patologie.

Ma io oggi faccio un’ipotesi seguita da una domanda. Forse l’invenzione di questo stimolante gioco è stata possibile solo col pensiero al ritratto classico, quello che ha inizio con la pittura dell’antica Roma, prosegue con tradizione rinascimentale e arriva fino all’ottocento, quando gli incarnati dei vari soggetti erano tradotti con il massimo del rispetto della realtà, cioè quando i pittori perseguivano la  verosimiglianza. Con il novecento, tutto cambia. A partire dai ritratti espressionisti  è come se la pelle dei soggetti rappresentati smettesse di apparire come guscio protettivo degli organi interni, non fosse più cioè rivestimento esterno di un interno da custodire, ma diventasse il dentro stesso impaziente di manifestarsi per conto proprio. E’come se la pelle rivendicasse il suo diritto ad essere guardata per ciò che è, indipendentemente da quello che significa, o a cui allude: interiorità di se stessa, autonomia di organo e dunque di funzione. Dopo secoli di vergogne, pudicizie, censure, costrizioni, che hanno portato nei secoli a coprire porzioni di corpo, la pelle si espone in quanto tale. E allora non è detto che fornisca agli scienziati informazioni coerenti e interpretabili, al contrario. Magari potrebbe depistarli.

Il processo non è casuale. Il novecento è il secolo della psicanalisi, ovvero della scoperta dell’interiorità… Freud strappa il velo dell’io, viola il segreto della coscienza. La persona viene a nudo, e dunque non basta più essere nudi per scandalizzare. La nudità vale zero: la pelle esposta come rivestimento non significa più niente, non copre più niente perché niente è più coperto. Quando tutto è esposto, anche il velo si svela… E allora dentro e fuori diventano la stessa cosa. Il dentro è scoperto, il fuori si autonomizza, si interiorizza, decide di mimetizzarsi, vedi il proliferare dei tatuaggi. Il messaggio diventa il mezzo, per usare un’espressione di McLuhan.

Non più indizio, la pelle diventa protagonista, reclama attenzione in quanto tale, svela l’alienazione e i tormenti di tutta un’epoca. E allora ecco le pelli martoriate che vediamo nei dipinti di Schiele, Lucien Freud, Fausto Pirandello: le pennellate disordinate e nevrotiche,  le smorfie, le  prospettive alterate, i colori violenti, i piani sovrapposti… Perfino l’olimpico Klimt, che si era adagiato nelle brillantezze e nei decorativismi della Belle Époque , tradisce, con il Ritratto di signora del 1917, questa deriva. Il malinconico e pallidissimo volto della protagonista è sporcato da due macchie rosse, vistose e quasi volgari, simili a graffi.  Il trucco così esagerato, quasi clownesco, di questa signora, in apparenza ultima esponente di una schiera soggetti impeccabilmente ritratti, si svela per quello che è. Per quanto truccati, non ci possiamo nascondere neppure a noi stessi. Per il semplice fatto che non c’è più nulla da nascondere. E se non c’è più nulla da nascondere, non c’è neppure più nulla da rivelare. (Che tristezza.) L’esteriorità è il nostro solo destino. Come del resto conferma la nostra era di esposizioni mediatiche incontrollate.

Ma per chi studia il corpo umano questa è davvero un’opportunità o piuttosto una sfida terribile? Come affinare davvero lo sguardo? Come distinguere d’ora in poi il vero dal falso?

14 ottobre 2022

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