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CI SERVE ANCORA LO STATO?

E così, dopo  tanti,  anni si sente di nuovo parlare in Italia di anarchia. Certamente alcune idee non muoiono mai, solo dormono sotto la cenere, per risvegliarsi lentamente ma inesorabilmente in particolari momenti storici.

In Italia l’aggettivo “anarchico”ebbe un momento di gloria alla vigilia del decennio di piombo, insieme ai nomi di Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, primi indagati della strage di piazza Fontana, a Milano. Furono definiti anarchici di destra, benché nelle radici storiche dell’anarchia (Proudhon) c’è , guarda caso, il rifiuto del concetto di proprietà, a vantaggio della più pragmatica concezione del possesso. Oggi, le reazioni anarchiche contro il governo Meloni sembrano ispirate da un’ideologia totalmente opposta, come pure le imprese di Alfredo Cospito, sulla cui testa sembra gravare in questi giorni il cupo peso del regime 41 bis. Ma sia di destra o di sinistra, il ritorno dell’anarchia ci comunica forse qualcosa in più, oltre alle vicende personali del teorico del Fai-Fri. ( Federazione anarchica italiana e sua ramificazione internazionale).

Anarchia: parola che fa paura e allude a disordine, sregolatezza, spesso anche aggressività. Fin dagli inizi dell’Ottocento, ovvero dalla sua prima formulazione, la dottrina ha preso svariate forme ed è stata declinata appunto sulla base ideologie diverse. Unico elemento comune, l’idea di un possibile annullamento dello Stato. Se oggi il termine fa paura, e evoca timori di attentati e derive rivoluzionarie, va ricordato che il primo teorico dell’anarchia escludeva invece espressamente il ricorso alla violenza. E va forse accettato che quanto appariva fino a ieri – e a molti continua ad apparire- un panorama ingenuamente utopico, oggi potrebbe trovare una maggiore e naturale rispondenza nei fatti.

Lo Stato, oggi, ha ancora quel ruolo di identità, difesa, organizzazione di un popolo? O l’avanzare della globalizzazione ci sta suggerendo piutosto tutt’altro? E il rapido diffondersi in rete della comunicazone peer to peer a scapito degli organismi centrali come banche o monopoli informativi , che cosa ci sta suggerendo? Che forse questo non è più il tempo dei movimenti centripeti, ma centrifughi. Guardiamo anche al passato, e, pur nella sua eccezionalità, alla diaspora del popolo curdo, o più ancora del popolo ebraico. Il quale è rimasto per secoli tale (popolo, lingua, religione) anche senza uno stato, e perfino senza un territorio. E’ tanto fantascientifico sognare che questo pachiderma di strutture ormai nella maggior parte dei casi strutturalmente decadenti e spesso inefficienti scompaia definitivamente dal nostro orizzonte politico? Davvero avremo ancora bisogno di disumani apparati, muffosi uffici, macchinose amministrazioni, kafkiane sovrastrutture concepite secoli fa e di conseguenza di ideologie che ne propugnino con ogni mezzo la scomparsa o, peggio, di realtà che ad esso si sostituiscano, come le mafie? E se invece fossimo alla vigilia della naturale estinzione dello Stato? Dalla faccia della terra sono scomparsi i dinosauri, non potranno scomparire anche gli stati, per lo meno così come li concepiamo oggi ? Sono scomparse le strutture feudali, si sono trasformati i liberi comuni, non hanno più senso le signorie… Perché dovrebbero resistere ancora gli stati nazionali alimentatori di corruzione e sprechi, secondo schemi di fatto immutati da secoli?

Accadrà forse quando ciascuno di noi avrà guadagnato quel grado di responsabilità, autogoverno e coscienza politica, da cui deriverà il rispetto degli altri e di conseguenza l’esercizio concreto della libertà. Utopia? Da bambini bisognosi di un istitutore che ci impedisca di spaccare tutto per un capriccio, saremo diventati adulti capaci di scegliere da soli e finalmente artefici diretti delle nostre scelte. Forse è proprio in questa direzione che ci stiamo incamminando. Indipendentemente dalle anacronistiche nostalgie di battaglia di Cospito e compagni. Un’altra utopia?

 

1 febbraio 2023

 

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