Per ascoltare invece di leggere:
La cantante Angelina Mango deve interrompere il suo tour per problemi di salute. Questa è la notizia. Una rinofaringite acuta le ha nuovamente tolto la voce. Come del resto era già accaduto a metà ottobre, quando la vincitrice del Festival di Sanremo aveva dovuto riprogrammare le date previste dei suoi live. Peccato per lei, e soprattutto per i fans.
Non so quali reali condizioni fisiche siano alla base di certe recidive, certo la voce di Angelina, così rauca, così urlata, mi ha sempre fatto pensare a una persona reduce recente da un’influenza, che ha bisogno di sforzarsi per fare uscire un fiato. E’ del resto la bellezza di certe “vociacce” altissimamente espressive, timbri scomodi e graffianti, molto moderni. Pensiamo a Lucio Battisti o a Pino Daniele: non potremmo certo definire le loro delle “belle voci”, e tuttavia proprio quei timbri sporchi e imperfetti ci hanno affascinati, veicolando meravigliose emozioni. Tuttavia, un conto è il timbro di natura (ognuno ha la sua voce, il suo registro, così come ognuno ha un certo colore degli occhi e una certa forma delle mani), un conto è forzare la propria voce all’inverosimile, soprattutto di gola. I cantanti lirici imparano a cantare al contrario di diaframma, e grazie a ciò arrivano a estensioni notevoli espandendo la cassa toracica, senza violentare la parte alta dell’apparato vocale. Nel mondo della musica leggera, viceversa abbondano le Angeline, urlatrici acclamate, che mettono a dura prova le loro gole. Male. Penso per esempio a Emma o a Alessandra Amoroso.
E’ strano, hanno molto successo, ma alla fine il loro sembra uno stile un po’ datato. Tra gli anni cinquanta e sessanta fecero scalpore gli urlatori, corrente canora sorta in Italia, guarda caso all’epoca del boom economico, quando evidentemente bisognava “urlare” l’esaltazione per la ripresa, l’entusiasmo per il superamento delle difficoltà post-belliche: la stessa Mina si impose per la sua voce ad alto volume, del tutto priva degli abbellimenti del canto melodico.
Allora forse questo aveva un senso, ma oggi, per che cosa dobbiamo esaltarci? E gli urlatori (o meglio le urlatrici) di oggi, che cosa gridano? Non entusiasmo, semmai rabbia, rancore diffuso, o, peggio, sembrano esprimere narcisismo vocale, virtuosismi autoreferenziali, bisogno di dimostrare le proprie qualità tecniche… Tutti elementi nei quali le giovani generazioni, i fan, finiscono per rispecchiarsi, finendo per credere che la potenza valga più dell’energia, la quantità più della qualità, e, peggio, che si debba alzare la voce per farsi ascoltare.
Un vecchio attore, esperto dei trucchi vocali, una volta mi confidò un semplice segreto del mestiere: “Quanto tutti urlano, tu abbassa la voce”.
Non è sempre vero che ad alta voce ci si possa spiegare meglio o catturare maggiormente l’attenzione. Al contrario. E’ vero che nel campo della musica leggera, è anche ormai finita l’era dei cantanti cosiddetti confidenziali, da night, però tra i due estremi è forse giusto porsi qualche domanda.
E poi…
Se una urlatrice perde la voce, per averne abusato, ci sono donne che perdono la voce per ordine dei governi. Accade in Afghanistan, L’ultimo decreto vieta di far sentire in pubblico le voci femminili. Vietato cantare, vietato recitare, vietato parlare con toni alti, vietato cantare la ninna nanna a un neonato irrequieto durante la passeggiata, vietato ridere con le amiche al mercato, vietato protestare per un sopruso, vietato perfino pregare ad alta voce nelle moschee…
Ogni cultura va rispettata, e non mi sogno di criticare il regime talebano per queste disposizioni. Come che sia, a me sembrano comunque molto più eloquenti le donne afghane zittite dal potere che una cantante nostrana fiera di urlare ai suoi concerti e poi costretta a malincuore a fermarsi per avere urlato troppo.
1 novembre 2024