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ADDIO SAPONETTA

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Lavarsi davvero le mani ormai è un’illusione. C’è sempre l’ardito germe, lo spregiudicato batterio o l’infame virus in agguato. Hai voglia a disinfettarci, come presumiamo di avere imparato a fare correttamente dal Covid in poi. Lavarsene le mani poi è ancora più illusorio. Pilato insegna. Si fece portare addirittura il bacile, ma certamente non riuscì a morire con la coscienza del tutto pulita.

Negli anni, sono cambiate le abitudini igieniche di noi italiani. Forse anche di tutti noi occidentali. Nei bagni pubblici, negli uffici, un tempo sui lavandini c’erano le saponette. Ve le ricordate? Che sensuali quei panetti profumati dai colori pastello che iniziavano il loro ciclo vitale lucidi, compatti, profumati di rosa o di violetta e piano piano si consumavano fino a estinzione quasi totale: di essi non rimaneva che una scaglia bagnaticcia e scivolosa.

Oggi, vi sfido a trovare ancora una saponetta in un bagno pubblico. A malapena se ne trovano ancora nei bagni privati. In giro, solo anonimi dispenser di sapone liquido. Dispenser di plastica, ovviamente. Ci siamo accorti che lavarsi così è più sicuro, o meglio che l’antica saponetta, proprio lavando rischiava di sporcare, anzi peggio di contaminare, cioè di distribuire lo sporco e i suoi agenti tra le persone, raggiungendo così l’effetto precisamente opposto rispetto a quello programmato.

E allora addio, saponetta. Addio ingenua fiducia nel possibile lavacro condiviso di tutte le colpe, di tutte le vergogne e di tutti i peccati. Per essere davvero puliti (per essere davvero salvi) dobbiamo isolarci, o finiremo per contaminarci. E’ inevitabile, se usiamo tutti la stessa saponetta.

Pensandoci bene, ogni operazione di pulizia rischia in ogni caso l’effetto opposto: per portare via lo sporco dobbiamo comunque toccarlo, o farlo toccare da uno strumento di detersione, ampliando così potenzialmente la sua diffusione incontrollata, lasciandocene necessariamente, anche se solo momentaneamente, sfiorare. Per sua natura lo sporco comporta condivisione: è nel fango che ci assomigliamo tutti, è nelle nostre meschinerie che ci riconosciamo fratelli. L’utopia della pulizia assoluta richiede un isolamento impossibile, o quanto meno difficile da raggiungere nella quotidianità, come si vede in una sala operatoria dove non a caso paziente, chirurgo e infermieri sono bardati come palombari per evitare di essere infettati e di infettare gli altri.

Dunque, forse, per ottenere la certezza di essere veramente puri … dovremmo paradossalmente rispettare ciascuno il nostro sporco, accettando di lasciarlo affratellare con lo sporco altrui.

Ma certo non è più il tempo di queste disinvolte promiscuità. Il nostro tempo è semmai quello della reciproca distanza e della sterilità tecnologica. Ridotti a monadi, non più capaci di comunicare direttamente, ci siamo fatti convinti che obiettivo primario è evitare comunque di essere infettati. E l’infezione più temuta e più incurabile è sempre la stessa: il nostro prossimo.

 

3 giugno 2024

In alto, dipinto di Matthias Stomer

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