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AMO GLI ANIMALI PERCHE’ NON CI ASSOMIGLIANO

E poi ci sono gli amanti degli animali. Io sono fra questi. La mia professione ideale sarebbe “accarezzatrice di cani nel canile”, come disse qualche genio di cui non mi ricordo il nome.

Basta contare la densità crescente dei negozi “per animali” nelle nostre città per avere un riscontro abbastanza fedele del sempre più intenso ricorso da parte degli umani alla compagnia di cani, gatti, uccelli, pesci, criceti etc. (Ora sembra vada di moda il Petauro dello Zucchero, un cugino del pipistrello però dall’aspetto meno sinistro.) Tutto questo qualcosa vorrà dire.

Gli amanti degli animali, dicevo. Però bisogna distinguere.

  1. Quelli che “io amo gli animali perché sono migliori degli uomini”. Pericolosissimi. Credono con questo di potersi mettere l’animo in pace circa i propri fallimenti nei rapporti interpersonali: archiviano l’umanità come infame, dissoluta e traditrice per gettarsi (a parole) tra le zampe di un cane o di un gatto, dal quale non avranno mai, per definizione, critiche, rimproveri o giudizi per comportamenti sbagliati o riprovevoli. Facile amare chi sta in pratica sempre zitto. O al massimo miagola o abbaia.
  2. Quelli che compensano con l’animale una grave perdita una separazione, un distacco, un dolore. Il cagnolino consolatore. Usato come una distrazione, un riempitivo, una zeppa sotto la zampa del tavolo che traballa. Irrispettosi strumentalizzatori. Se la consolazione accade per proprio conto, ben venga: gli animali sono comunque presenze affettuose e appaganti. Ma il fatto che vengano acquisti, adottati, accolti per lo specifico fine di usarli come distrazione, porterà in luce, prima o poi, l’atteggiamento quasi predatorio dei loro “padroni”, che saranno sempre pronti a usarli come oggetti. Inclusa la capacità latente di ignorarli o perfino sbarazzarsene nel momento in cui la propria emergenza psicologica sarà finita. E invece, anche l’ultimo gatto soriano di strada abituato a rovistare nella spazzatura dovrebbe avere i suoi diritti, tra cui quello alla dignità di creatura vivente, bastante a se stessa, non dipendente da nessuno e da cui nessuno dovrebbe dipendere.
  3. I dipendenti, appunto. Quelli che si portano il cane da salotto ovunque, imponendo la sua presenza a cene, ricevimenti, sul treno, sulla spiaggia, perfino in ufficio, dal dottore etc. Quelli capaci di rinchiudere la povera bestiola in un trolley o in una borsa pur di sfuggire a controlli aeroportuali, del capufficio, elementari regole igieniche etc. Quelli che non possono smettere di accarezzarlo, coccolarlo, sbaciucchiarlo, tenere in mano una zampa o una coda. Quelli che hanno sempre il guinzaglio in mano e il cane al seguito, tanto he alla fine non si capisce più chi porti al guinzaglio chi. Quelli per cui il cane diventa il sostituto del ciuccio o della sigaretta. Una dipendenza, appunto.
  4. I miopi. Quelli che non vedono i disastri che il proprio cane commette e gli scusano qualsiasi aggressione più o meno festosa nei confronti di amici, vicini e passanti. Una volta un pastore tedesco mi saltò addosso graffiandomi a sangue sul petto e sulla schiena. La proprietaria, ridendo: “Gioca”…
  5. Le dame di carità. Le vecchie gattare o canare o “colombare” che disseminano le vie dei loro quartieri di pranzetti più o meno succulenti dedicati ai randagi, ottenendo non solo di sfamare i loro beniamini, ma incoraggiando anche cortei di insetti attratti dagli avanzi, e di conseguenza infestando il quartiere di vomitevoli miasmi e scarti. Se chiedi a queste caritatevoli signore perché mai non si portino le amate bestiole a casa loro, rispondono sempre di non avere spazio a sufficienza. Sono pietose, ma anche in parte moleste.
  6. Gli snob. Quelli che.. “solo cani di razza”. A proposito: i cani di razza sono tutti uguali. Volete mettere la fantasia, l’originalità, il carattere, l’unicità dei bastardini, dei meticci, degli incroci, degli “avanzi di canile”? Questi appassionati di petigree facessero un’opera buona e soprattutto disinteressata, e accanto alle razze pure da esibire ad amici e conoscenti, accogliessero un trovatello.
  7. I maniaci. Quelli che “le scarpette, i cappottini, gli stivaletti”. Quelli che “il bagnetto, la spazzolina, la toletta, le salviettine profumate”. Aiuto! Quelli per cui il povero cane o gatto diventa un giocattolo da spupazzare, col falso pretesto di igienizzarlo, senza alcun riguardo -di nuovo!- per la sua dignità animale. In genere sono signore che da bambine non hanno giocato abbastanza con le bambole, o persone che equivocano la destinazione delle loro cure di tipo “parentale”, pretendendo di antropomorfizzare l’animale. Quelle che vittimizzano le povere bestiole imponendo loro di muoversi solo secondo i propri schemi, secondo un’educazione da collegio svizzero, che le brutalizzano con comandi da caserma pur di ottenere lo scopo e che le pretenderebbero immobili a far concorrenza a una kenzia o a un ficus, e magari le tengono a dieta di carboidrati  elargendo loro solo sporadiche briciole di biscotti senza glutine e senza lattosio rigorosamente pesati.
  8. I folli. Quelli che mangiano nello stesso piatto dell’animale, o permettono all’animale di leccare il proprio piatto, che si scambiano con il cane il cucchiaino del gelato, che fanno dormire il cane sotto le proprie lenzuola. Eccetera. Dimenticando le serie malattie cui vanno incontro. Sono in genere igienisti maniacali che di fronte alla bestiola perdono inspiegabilmente il senso della realtà e si offendono a morte se qualcuno tenta l’impresa disperata di riportarli alla ragione, ritenendo il proprio cane immune da qualunque peccato originale, da qualsiasi contaminazione.

“Amo gli animali – diceva qualcuno – Per questo li tengo a distanza”. Non solo una vicinanza esagerata potrebbe contaminarci dei tanti germi che essi veicolano, ma forse -ipotesi ancora peggiore –  potrebbero finire per essere loro contagiati dalle follie umane, dalla nostra ferocia, dalla nostra stupidità.

Il crescente interesse per le bestiole domestiche dice molto della solitudine dei nostri tempi. Non riuscendo a comunicare tra noi, ci illudiamo di comunicare con chi non parla, o perlomeno non condivide il nostro stesso linguaggio, attribuendo loro intenzioni che sono solo nostre.

Va benissimo, tutti gli animali possono tenerci compagnia e anche insegnarci tanto, ma ricordiamoci che siamo diversi e facciamo attenzione a rispettare davvero questa diversità. Amiamoli, lasciando loro lo spazio per essere quello che sono: un mondo altro dal nostro, da cui imparare, e da non violentare con le nostre a volte ridicole proiezioni e le nostre pretese di renderli quasi-umani. Piuttosto cerchiamo noi, se riusciamo, di diventare più umani. Verso di loro e tra noi.

 

16 settembre 2024

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