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ANNI SPRECATI

Nei primi anni settanta del secolo scorso essere giovani era una grande occasione. Io non l’ho colta. Si poteva rivoltare il mondo e lo si gridava nei cortei, per le strade. Io invece stavo chiusa in casa. Avevo paura. Dei miei coetanei, della loro immaginazione, di progetti che non potevo condividere perché, con troppo precoce disincanto, li sapevo utopie. L’immaginazione la coltivavo in privato.

A questo disincanto e a questa solitudine aggiungevo poi lo squilibrio ormonale dell’età di mezzo, che avevo gli strumenti intellettuali per truccare da tormento esistenziale, rivestendo il mio narcisismo capovolto in una depressione nobilitata dalla tragica consapevolezza dell’Essere-per-la-morte. Nessuno spiraglio, nessun progetto, nessuna speranza. Però non mi sentivo disadattata o triste:  leggevo, ascoltavo musica, imparavo a ricamare, andavo in bicicletta, coltivavo una precoce passione europeista, avevo un paio di amiche con cui condividevo frivolezze, mi appassionavo alle imprese spaziali, mi commuovevo alle emozioni degli altri…

Alla fine del decennio, quando all’Università iniziavo a studiare sistematicamente Heidegger e il suo Essere-per-la-morte, nel mondo successe di tutto. Io rimasi esattamente come prima, come nei mesi successivi al sessantotto: disincantata e immune. Apparentemente protetta nel piccolo orizzonte borghese di una famiglia per metà ancorata ai soliti pregiudizi, per metà fieramente affacciata sulla sensibilizzazione dei grandi temi del tempo (le contrapposizioni ideologiche, il potere che schiaccia l’individuo, la solidarietà sociale, la conquista delle libertà, i diritti umani, gli inganni del progresso…)

Rimanevo comunque sola, staccata, immersa in studi teorici e troppo universali, paralizzata nella amara consapevolezza che niente dura, e soprattutto priva di qualsiasi sensibilità politica, spirituale e progettuale: non avevo futuro e neppure me ne accorgevo.

Di guardare al mondo di fuori non ero capace. Non mi rimaneva che guardare al mondo di dentro. Ero un povero sassolino pensante. Rotolavo negli eventi. Mi chiedo in quanto simile e in quanto diversa rispetto agli adolescenti di oggi, chiedendomi anche che cosa comporta essere giovani nei primi decenni del XXI secolo, deprivati come me, ma all’opposto di quanto accadeva a tutta la mia generazione, del senso del futuro.

Quella me di allora non assomigliava per niente ai suoi coetanei nutriti di sogni, ma piuttosto ai ragazzi di oggi, storditi solo di connessioni. Però non mi illudo di avere anticipato i tempi: temo semmai che siano antichi i ragazzi di oggi, stancamente riflessi in un modello di giovinezza sterotipata senza più mordente né curiosità, nonostante tutti gli stimoli e le occasioni offerti loro dalle nuove tecnologie.

E così, solo ora che sono vecchia, sarei capace di diventare giovane. Solo ora mi sembra di avere scoperto il segreto, di avere capito come si progetta il futuro e di avere imparato come si guarda al passato: per il primo è necessario vincere ogni paura, per il secondo bisogna saper esercitare il perdono. Insomma la durezza e la tenerezza racchiuse in una stessa persona. (Mi ritorna sempre alla memoria il mantra ripetuto dalla voce tonante dell’allora giovane papa: “Non abbiate paura!”). E allora vorrei poter trasmettere questa chiave d’oro ai ragazzi di oggi, a partire dai miei figli. Che in più di una occasione mi hanno sottilmente fatto notare di avere sprecato i miei anni migliori, senza aver tentato di cambiare il mondo, anche a costo di imbracciare un mitra. Hanno ragione. Di pandemie, guerre, disastri ambientali e relativi inganni oggi mi sento responsabile in prima persona. E tuttavia, senza sapere come, mi sembra davvero di non avere più paura. Resta la consapevolezza di quel dentro che non è solo un volgare rifugio, quanto piuttosto il puntello di una certezza: ognuno di noi  è un mondo che non può andare perduto. E allora mi guardo indietro a quegli anni “sprecati”, e mi sento finalmente libera e pronta al perdono. Di me stessa e dell’umanità tutta, nonostante tutto.

 

12 ottobre 2022

One thought on “ANNI SPRECATI

  1. Beppe

    Bello bello. Un po’ mi ci ritrovo
    nel tuo scritto. Anche io non ho più paura, se mai ne ho avuta piena consapevolezza, ma perché so di non avere più tempo per aver paura!

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