Uno vocalizza e chiacchiera indisturbato in chiesa ad alta voce durante il funerale della nonna senza che nessuno lo riprenda. Un’altra si fa venire gli attacchi isterici e di panico a causa dei rimproveri di una maestra severa e ottiene dalla psicologa di turno di non andare a scuola per una settimana.
Al funerale né il prete né i genitori si curano di invitare il bambino al silenzio, o perlomeno a parlare sottovoce. Non è certo più il tempo di regole severe, soprattutto nelle chiese, perché mancherebbe solo questo per svuotarle ancora un po’ di più e scoraggiare definitivamente la gente ad entrarvi. Forse non è neppure più il tempo della deferenza un po’ timorata di fronte al tabernacolo, perché il Dio di oggi è più smart di quello di una volta, che metteva soggezione. E poi non si può certo pretendere che a meno di quattro anni un bambino rimanga per tutta la funzione immobilizzato come uno stoccafisso. Non mi disturba se canticchia o fa pernacchie durante un funerale, ci vedo anzi un meccanismo abbastanza automatico di distrazione e auto consolazione nei confronti di un mistero inspiegabile come la morte, che da bambini siamo molto bravi ad attuare, più che da adulti. Mi turba invece l’indifferenza degli educatori alle sfumature. La disattenzione al sottovoce è grave. Vuoi parlare, canticchiare, ridere? Ne hai il diritto perché sei piccolo, ma almeno fallo educatamente, per rispetto degli altri, perché si sono luoghi dove si può urlare e altri dove si deve rispettare chi vuole pregare in silenzio. In musica esistono le dinamiche: piano, forte, fortissimo, pianissimo, sottovoce, mezzavoce… Sono il rispetto della partitura. E’ proprio la sordità alle sfumature che ci rende incivili. E mi preoccupa il fatto che non si ritenga necessario insegnarle fin da subito ai bambini. La sfumature sono la cultura senza bisogno delle parole. Sono la bellezza delle cose in assenza delle cose. Se non ti alleni alle sfumature ti perderai il meglio, soprattutto il senso degli altri.
A scuola la maestra rimprovera la ragazzina e questa comincia a soffrire di attacchi di panico. Veri? Inventati? Meccanismi di difesa alle difficoltà sui banchi di scuola li abbiamo messi in atto tutti, più o meno furbescamente. C’è lo “Stardi” di deamicisiana memoria che si mette al lavoro e con un enorme sforzo di volontà riscatta tutti i suoi insuccessi, c’è chi decide scientemente di farsi beffa della scuola e diventa invece un provocatore aspirante solo alla bocciatura, c’è chi fa quel poco che può per recuperare come può, chi accetta serenamente di essere rimandato in qualche materia, chi mette in scena crisi isteriche per rimanere a casa, chi si fa venire la febbre e alla fine ottiene “la clemenza della corte”. che rimanga a casa. Il prigioniero ha il sacrosanto diritto di tentare la fuga. Quello che mi preoccupa, anche in questo caso, è chi detiene le chiavi della prigione. Ammesso che la scuola a questo si sia ridotta, come pare. Certo, se ci sono maestri incapaci di incantare i propri allievi, la scuola proprio a una prigione si riduce e quasi a niente altro. Se ci sono maestri – o genitori – incapaci di cogliere il disagio, la noia, i timori, le frustrazioni e i trucchetti dei ragazzi, la scuola diventa una stanza di tortura da cui sgattaiolare appena possibile. Ma poiché anche di prigioni e stanze di tortura purtroppo è fatta questa vita, che arrivi il Consolatore Ufficiale a benedire la fuga dalle difficoltà, autorizzando -e anzi suggerendo ai genitori- l’assenza dalle lezioni, mi fa rabbrividire. Già il fatto che oggi lo Psicologo affianchi istituzionalmente l’insegnante, mi insitilla il sospetto che gli insegnanti non sappiano fare più il loro mestiere. Per giunta, da questa autorevole posizione, il Consolatore laureato risolve il problema scansandolo. Bella lezione davvero. Due fallimenti uno dietro l’altro: il maestro che cede il passo allo specialista d’anime, e lo specialista d’anime che le asseconda nel loro istinto alla fuga. A me sembra un mondo capovolto.
17 gennaio 2023