Per ascoltare invece di leggere:
Anni fa incominciai ad annotare una serie di “grazie”, pensando a tutte le persone, le circostanze, le occasioni, i momenti e gli episodi che hanno arricchito e segnato positivamente la mia esistenza. Il destino con me è stato piuttosto generoso, mi ritengo una persona fortunata sotto tanti punti di vista. In casi come questi, se si è consapevoli del proprio debito con la storia e con l’universo, facilmente si passa a sentirsi in colpa, pensando a tutti quelli che non sono stati graziati come noi da analoga serenità.
Il mio senso di colpa ha alimentato negli anni l’elenco dei grazie, dal quale elenco ho cercato faticosamente di non escludere niente e nessuno che mi abbia provocato negli anni anche solo casualmente un sorriso, un momento di grazia anche passeggero, aiutandomi comunque a maturare. E’ un elenco per definizione infinito.
Mi viene in mente la splendida dedica al suo amico Pat Covici, che John Steinbeck appose all’inizio del suo romanzo La valle dell’Eden:
Caro Pat, mi hai pescato a intagliare nel legno una specie di statuina e mi hai detto: “Perché non fai qualcosa anche per me?” Ti ho chiesto che cosa volevi e mi hai risposto: “Una scatola”. “Per farne che?” “Per metterci la roba dentro.” “Che roba?” “Tutto quel che capita” hai detto. Ecco, questa è la scatola. C’è dentro quasi tutto quello che ho, eppure non è piena. Ci sono dentro dolore ed eccitazione, sentimenti buoni o cattivi e pensieri cattivi e pensieri buoni – il piacere di disegnare e un po’ di disperazione e l’indescrivibile gioia della creazione. E oltre a tutto questo, in cima, tutta la gratitudine e l’amore che ho per te. E la scatola non è ancora piena.
Come per Steinbeck, la mia scatola di grazie non è mai , forse non sarà mai piena. Gratitudine e amore non mi finiscono mai e sono arrivata a un punto che davvero non so più dove metterli.
Noto tuttavia che la gratitudine non è un sentimento particolarmente diffuso, neanche tanto scontato. E’ come se non riuscissimo ad esserne consapevoli. Come se una perversa corrente di pensiero contemporanea ci addestrasse all’orgoglio di una presunta autosufficienza di cui dovremmo fregiarci per poterci sentire davvero “uomini”. La logica del “non dovere niente a nessuno” o del “mi sono fatto da me” pervade sottilmente i nostri ambienti di lavoro, le nostre dinamiche interpersonali… E’ vero che le relazioni umane generano spesso confusioni, dipendenze, malintesi, insofferenze per cui alla fine c’è sempre quello che conclude: “io sto meglio da solo”. Ma un piccolo prezzo al rischio di poter essere benedetti da un gesto generoso lo potremmo mettere in conto, no?
Io per esempio mi sento di dover ringraziare anche quelli che mi hanno “graziata” per caso o senza rendersi conto. Per un gesto gentile scappato fortunosamente. Nulla è dovuto, mi pare.
All’eccesso opposto, ci sono quelli che affermano eroicamente di essere grati anche alle persone che hanno fatto loro del male. Sostenendo la solita storia che dal male ricevuto – dal male in genere – si apprende sempre qualcosa etc etc.
Non sono d’accordo. La mala fede va punita. O almeno, o meglio, dimenticata. Figuriamoci se mi sporco le mani per ringraziare quei quattro stolti che si sono impegnati a perdere parte del loro tempo per inquinare parte del mio. A parte il fatto che sono pochissimi, che è stato facile per me cancellarli -che è molto diverso dal dimenticarli- e che hanno lasciato davvero insignificanti cicatrici.
C’è semmai un’ altra categoria di persone che fra tutte fatico a ringraziare… Quelli che dimenticano e che mi dimenticano.
Che non mi dicano grazie a loro volta, magari avendone motivo, non mi turba. La gratitudine è come la fede: o ce l’hai o non ce l’hai. La gratitudine è una grazia. Se qualcuno che potrebbe farlo non prova gratitudine per me è un problema suo
Ma che mi dimentichi… mi scatena un sentimento opposto alla gratitudine. Che fatico a definire, identificare e che forse potrei circoscrivere in una speculare dimenticanza. Dimenticata, inabilitata a entrare nei ricordi di qualcuno per me indimenticabile, mi accompagno sulla faticosa strada dell’indifferenza, che è un sentimento molto più feroce del rancore. All’opposto del grazie c’è così il nulla, il vuoto della scatola vuota di John Steinbeck che non sarà mai riempita da niente se non da quattro briciole, avanzo di un lauto pasto. Che peccato.
Il mio infinito elenco di grazie comunque prosegue… Invece di un testamento lascerò questo, avvisando tutti fin da ora che sarà, appunto, fatalmente incompleto. Che peccato!
8 gennaio 2025