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COME CI SIAMO SVEGLIATI STAMATTINA

Per ascoltare invece di leggere:

Si sta ridisegnando il mondo. Ci siamo risvegliati tutti, questa mattina, all’improvviso. Fino a ieri era facile, perfino puerile: due blocchi, eredità della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, lontano ricordo di guelfi e ghibellini, o della crudele censura del capoclasse che impietosamente segnava sulla lavagna “buoni e cattivi”. Ovest (noi) e est (loro: dall’Ucraina fino alla Cina e oltre.)

Sotto sotto noi NATO ci sentivamo “i buoni”: democrazia, chewing-gum e rock’n roll. Noi italiani avevamo perso la guerra ma i vincitori ci avevano graziati, stringendoci in un patto di ferro. Tutti gli altri erano i “cattivi”, o quanto meno gli alieni, gli strani, i mondi lontani, facessero quello che volevano con Marx e il socialismo reale: Lenin, Stalin, Mao e compagni.

Era così dal 1949, anno di nascita dell’alleanza atlantica. Alleanza difensiva, beninteso, che mise a posto le coscienze di tutti dopo l’orrore di quella guerra. E mentre nel mondo tornavano speranze di vita, mentre De Gasperi, Schuman e Adenauer sognavano l’Europa, Yves Montand cantava Les feuilles mortes, qualcosa avrà voluto dire. Anche le canzoni a volte danno voce all’inconscio profetico della specie: forse l’Europa era già morta prima di nascere.  

Oggi: che fine hanno fatto ovest e est? Schieramenti svaniti come quando, dopo una partita a scacchi, si mischiano le pedine, neri e bianchi. Dove sono i buoni? Dove sono finiti i cattivi? Gli amici e i nemici? Fino a ieri era comodo fronteggiarci sapendo con certezza chi era chi. E oggi?

Trump e Putin: la strana coppia. Mentre la Cina è sempre più vicina, nelle nostre città infestate da empori zeppi di qualunque merce, nei nostri poveri mercati e soprattutto nei sogni di Zelenski, ma Dio non voglia si realizzino.

L’ombra di Hitler su Putin e sullo stesso Trump? Proprio una bestemmia? Eccolo di nuovo, ancora e sempre, il fantasma dell’espansionismo. Altro nome della guerra. Ancora e sempre a scopo difensivo, beninteso. L’alibi è sempre lo stesso, dai tempi degli Achei: la storia insegna, ma noi non impariamo un bel niente.

Il mondo si globalizza, villaggio informatico sempre più trasparente, ma intanto gli stati si chiudono (le frontiere, i dazi, le destre che avanzano in Europa, le più piccole etnie che rivendicano anacronistiche identità… ): si chiama paura. E alla paura abbiamo diritto, perché ancora e sempre dobbiamo e dovremo difenderci.

E noi italiani, piccola etnia a nostra volta, ma poi neanche tanto (noi valdostani, liguri, veneti, toscani, molisani, calabresi, siculi, pugliesi, sardi, carlofortini…), noi piccola collezione di etnie, eccoci nel bel mezzo. Nel bel mezzo di cosa? Come si vede il mondo da qua, stamattina?

Visto da qua, stamattina il mondo è una specie di gel colloso che ci avvolge e ci stringe da tutti e quattro i punti cardinali. Un gel che manca poco a rapprendersi come cemento intorno alle nostre braccia e alle nostre gambe, lasciandoci al centro, mummie di noi stessi, come i corpi di Pompei eternizzati dall’eruzione. In mezzo ci stiamo da sempre, noi italiani su questo meraviglioso istmo che è il nostro paese, da tutti invidiato e da tutti conteso. Colpa della geografia, ma anche un po’ la genetica. Solo noi italiani potevamo inventare la democrazia cristiana. Ma oggi questa pericolosa medianità si estende a un continente intero: scomodo terzo incomodo fra i due ex antagonisti ovest e est oggi diventati complici. In questo gel, che cosa resta all’Europa e dell’Europa, non troppo elegantemente estromessa di fatto dalla NATO (che cosa resta della NATO, in realtà) alle prese con quella mano tesa di Zelenski che espone le foto delle sue vittime come titolo di credito per pretendere la prosecuzione della guerra?

Diplomazia, dicono. Ecco che cosa ci resta. Usare il cervello, cioè. Ovvero, al posto dell’emotività che rinserra i confini e che vorrebbe sconfinare per proteggerli (solito alibi), riesumare le parole, le teorie da Machiavelli a Kant, da Fichte a Croce, da De Gasperi a Willy Brandt…

Solo queste ci restano, tra l’Atlantico e gli Urali. Ma l’esperienza insegna che a chi ha paura le parole non bastano. E che se il sonno della ragione genera mostri, il sonno del buon senso produce tragedie.

 

1 marzo 2025

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