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CONOSCO UN POETA

Dante.

Sì, ma non quello. Non il fiorentino, ma il calabrese. Cognome: Maffia. Nato a Roseto Capo Spulico, poco a nord di Sibari e poco a sud di Metaponto, in piena Magna Grecia. L’ho incontrato la prima volta anni fa, in occasione di una intervista per la Radio Vaticana. Allora, tra le altre cose, mi disse: “La mia anima è la periferia più dolorosa e affascinante che conosco, perché in questa anima io ho conservato tutte le negazioni dell’infanzia: al mio paese non c’erano neppure luce e acqua. La mia anima è rimasta a conservare quel poco che c’era e a raccogliere le innovazioni senza mai farsi scalfire, conservando suoni, odori, profumi, immagini e desideri di un mondo che in me è rimasto intatto. E’ proprio questa “periferia” interiore a permettermi oggi di leggere la realtà”. (26 aprile 2017)

Conosco così un poeta. Uno che sa di realtà. Ascoltando e riascoltando queste parole ho capito perché di fronte a Dante Maffia ho provato fin dall’inizio, e continuo a provare, una magnetica soggezione. Forse sono proprio gli sguardi laterali, periferici, “sguinci” a fondare la magnificenza della poesia, la comprensione più radicale e dunque più impegnativa del mondo, che implicitamente richiede responsabilità personale a chiunque si imbatta nel confronto con “anime” così predisposte.

Conosco un poeta, dunque. Uno vero. Uno che percorre la strada maestra dalla periferia al centro e viceversa. Dalla lateralità di un Sud cosmico, che Dante conosce bene dunque fin dai primi anni di vita, per arrivare alla centralità vulcanica della ricerca di senso. E per tornare indietro. Ovvero: quando la poesia diventa pensiero “respirato”, teologia, scelta di vita, qualcosa a metà fra sacerdozio e militanza, trasporto esistenziale, sguardo perennemente acceso sull’infinitamente piccolo e insieme sull’immensamente grande.

Dante non fa per finta con le parole. E non si può far finta parlando di lui e con lui. Forse è questa la sua lezione più rivoluzionaria e seducente: prima che suoni, le sue parole sono gesti, azioni concrete per immergerci nelle profondità del reale.

Di Dante Maffia scrive con analogo e degno trasporto Marco Onofrio in L’officina del mondo. La scrittura poetica di Dante Maffia (Città del Sole edizioni 2021). E’ difficile che un critico scandagli la produzione di un poeta rimanendo …all’altezza di certe altezze. E invece Onofrio si lascia trasportare dalla lava di Maffia generando a sua volta potenti sconvolgimenti tellurici. E’ difficile, dopo aver letto Maffia e/o dopo averlo letto o riletto nella presentazione di Onofrio, rimanere quelli di prima:

“Il poeta si sparge nel mondo, abbandonandosi a una deriva di rispecchiamento cosmico (…). Sussumendo le leggi incarnate in ogni fibra dell’ordine universo, la poesia si manifesta come la dimensione olistica dove ogni cosa si riconnette all’altra, da cui scocca la scintilla degli incontri che alimentano le trasformazioni”.

E per smentire che l’habitat del poeta sia la fin troppo citata torre d’avorio, il sussiegoso Aventino sulla cui sommità guardare il mondo dall’alto, ecco che Maffia ci permette di condividere il suo sguardo inquieto sui drammi del presente:

1

Il dittatore è tornato al potere.

Finalmente, dice il tassista,

finalmente il traffico è ordinato,

funziona tutto,

non ci sono file

alla posta e alle banche,

i bidelli puliscono le scuole,

gli uomini di legge

non prendono più le mazzette.

 

2

Se Dio avesse voluto farci uguali

non avrebbe fatto nascere

quelli coi capelli neri

e i riccioli intricati

e quelli biondi, magri.

Dio ha creato la disparità

il bello e il brutto,

il male e il bene.

Lo dice mentre passa col rosso.

 

3

Guida disinvolto, il tassista,

lui lo ammira, è il suo idolo.

 

4

Ma sì, lei viene dalla Francia

Che è un Paese, come dire?

Così e così, insomma,

a favore della prostituzione,

dell’uguaglianza.

A scuola il maestro ci disse

che la libertà e la giustizia

sono valori da difendere.

Gli taglierei la testa

se non fosse già nella tomba.

 

5

Se Dio avesse voluto l’uguaglianza

non avrebbe fatto l’Africa,

non avrebbe creato donne

coi musi a penzoloni,

le tette cadenti.

 

6

Finalmente aria fresca.

Finalmente i cessi pubblici

sono puliti.

 

7

Tutto è luce senz’ombre.

L’Europa ha tolto la maschera.

 

8

Lui è un uomo serio,

altro che chiacchiere.

Ha già previsto

la sua statua in marmo

e alcuni capitoli

nei libri di storia.

 

9

Una buona carneficina

di bambini e di donne

è necessaria per la gloria.

I seguaci non andrebbero a inchinarsi 

davanti al suo marmo.

E poi, mica è uno spettacolo da poco

vedere Kiev bruciare,

le fiamme hanno un grande fascino,

creano giochi funamboleschi.