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DA BAMBINI

E’ Carnevale, i  bambini si mascherano ancora.   In questi giorni si fanno notare, così addobbati di tanti colori. Solitamente scompaiono invece nel grigiore di noi adulti, uniformati alla nostra polverosa trasparenza e al nostro malinconico anonimato. I bambini di oggi in genere scompaiono. E tutto sommato, anche quando si mascherano come in questi giorni, appaiono convenzionali e un po’ finti. E’ vero che a Carnevale proprio la finzione si persegue, ma quella di questi tempi sembra una finzione obbligata, un po’ di maniera. Anche il gioco del travestimento sembra non avere più mordente, forse perché non c’è più tanta differenza tra vero e falso  e anche i bambini sembrano aver perso gusto a confondere i piani.

Io parlo dei bambini di oggi, di questi anni, ma avete fatto caso che quando parliamo IN GENERALE di bambini (ovvero NON di una particolare generazione di bambini, per esempio, di coloro che oggi hanno fra i due e i dieci anni) ne parliamo sempre in terza persona plurale? (I bambini fanno, i bambini dicono… I bambini imitano gli adulti, i bambini hanno bisogno di essere seguiti… )  Tendiamo insomma a  parlarne emancipandoci dalle loro sorti, tenendoci ben distinti da loro. Come se fossero un mondo a parte, di marziani o di aborigeni provenienti da una terra lontanissima. Come accuratamente dimenticandoci che anche noi siamo stati bambini. E che siamo gli stessi, oggi adulti, dei bambini che siamo stati. Insomma che siamo figli di quei bambini.

Faccio due ipotesi. O la nostra infanzia è stata talmente penosa da volerla dimenticare, come se non ci appartenesse. E allora ce ne dissociamo, la rimuoviamo dal nostro vissuto. Oppure ci sentiamo arrivati chissà dove, al punto da dimenticare per l’appunto da dove veniamo. Siamo i parvenues dell’età adulta.  In fondo,  da bambine noi donne giochiamo spesso – o giocavamo – “a signore”. I maschi preferivano sentirsi sceriffi o supermen. In ogni caso ci piaceva mascherarci da adulti. E in questo gioco era Carnevale tutti i giorni, era una mascherata quotidiana e spontanea. Oggi che siamo adulti, non riusciremmo mai e poi  a “mascherarci da bambini”, neppure per un istante, neppure nel nostro intimo, in quella zona dove nessuno ci vede. (Non parlo evidentemente di quei patetici casi in cui anche gli adulti partecipano a feste mascherate e si mascherano per davvero!)  E’ come se l’infanzia da cui proveniamo ci apparisse una vergogna, un peccato da cui purificarci per poter essere ritenute persone credibili e serie. Eppure, al novanta per cento quello che siamo discende proprio da quello che siamo stati. E particolarmente in quei primi anni di vita.

Gli psicologi parlano di rimozione o di negazione. Ci riteniamo persone troppo serie per poter essere stati davvero bambini. Qualcun altro dev’essere stato bambino al posto nostro.

Che peccato. Invece di dire “I bambini fanno, i bambini dicono , i bambini piangono”, proviamo allora a dire “ da bambini facciamo, diciamo, piangiamo…”. Non sarà solo  un’abitudine lessicale, ma un modo nuovo di pensare la nostra storia, di pensarci con più umiltà, di ridimensionare il nostro ego e anche di tornare a pensare la gratitudine verso i custodi della nostra infanzia (genitori, zii, maestri, nonni, fratelli maggiori…)

Così come nel nostro Carnevale quotidiano ci sentivamo importanti a indossare la maschera degli adulti, proviamo oggi, magari lì dove nessuno ci vede, a indossare per un momento il costume dei nostri primi anni:  sarà una trasformazione  magari momentanea, che in un solo istante potrà però restituirci molto. E non per resistere pateticamente al passare del tempo. Ci sono infatti due modi per non invecchiare mai: ostinarsi a non crescere (stupidi Peter Pan) OPPURE rimanere candidi. Ovvero mantenere sempre vivi, dentro di noi, quei bambini che siamo stati, quei bambini che sempre siamo.

 

18 febbraio 2023

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