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DECIMA

La nostra, in occidente, è la civiltà degli addobbi. Degli orpelli, dei mascheramenti, dell’eccedenza. Questa civiltà del troppo dà comunque lavoro a tante persone: aggiungere strati spesso pretestuosi di cose su altre cose (e anche su persone) incrementa la produttività. Sì, ma anche gli scarti e soprattutto l’occultamento dell’essenziale. Al cappottino infinte volte rivoltato oggi si sono sostituiti lussuosi piumini guarniti di sciarpe, mantelle e foulard. Non ce n’è mai abbastanza. Invece di acquistarli sfusi dal pastaio, rigatoni e fusilli li troviamo al supermercato in confezioni voluminose costituite di strati e strati di imballaggi di plastica spesso sovra misurati. Bisogna scavare per arrivare al cuore delle cose. Per non parlare della inaccessible verità di noi persone.

Per ricordarci chi siamo veramente, non dobbiamo toglierci di dosso soltanto il pullover firmato, ma infinite patine e sovrapposizioni di categorie, pregiudizi, preconcetti, superstizioni varie. Siamo nascosti lì sotto, ma a volte, per trovarci, dobbiamo fare ricorso a un dolore.

Decima stazione. Gesù è spogliato delle sue vesti. In quella nudità estrema, fatta anche e soprattutto di dileggio, di scherno e di violenze, appare più luminosa la verità della persona, che si manifesta precisamente nella sofferenza. Finché ci seppelliamo in inutili mascheramenti per sfuggirle, sfuggiremo anche a noi stessi.

 

 

Roma, 4 aprile 2023

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