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DIARIETTO DI MEZZA ESTATE

Se avessi potuto mantenermi personalmente agli studi anche dopo l’Università –non volevo gravare più sui  miei- avrei continuato probabilmente a studiare tutta la vita. Vocazione di scienziata. O forse solo di secchiona. Avrei studiato qualunque cosa. Arte o matematica, genetica o diritto, chimica (sì, mi piaceva tanto la chimica) o composizione musicale, teologia o ricamo… Pur di ricevere un sapere, una scienza, un mestiere, pur di incontrare maestri, avrei fatto carte false. Poi ha prevalso la vita, la necessità di mettere insieme il pranzo con la cena, la voglia di affermarmi in un lavoro che mi piaceva tanto. Ma sono rimasta una curiosa, anzi un’avida. Di notizie, di misteri, di segreti, insomma di storie. E il mio lavoro mi ha aiutato, mi aiuta. Il giornalista è l’insipiente per definizione, l’unico che, insieme a Socrate, può onestamente affermare di sapere di non sapere, dunque permettersi di fare domande stupide anche tutta la vita.

E così non potevo non incontrare lui, il Covid. Ora che ci penso, di personaggi e di persone ne ho incontrati talmente tanti, veri, immaginari, presenti, passati, simpatici, spocchiosi, in carne e ossa e mie proiezioni, che proprio non potevo non incontrare lui. Lunedì mi sono ammalata, nonostante le tre dosi canoniche di vaccino. (E mi ero appena ripromessa che non avrei mai fatto la quarta). In genere ho il terrore delle malattie; in questo caso, fin dall’inizio della pandemia, per qualche misteriosa ragione, ho mantenuto un inedito – per me- distacco, sentendomi quasi immune. Pur addolorata per i morti della prima ora, il Covid non mi ha mai fatto paura. Una mia amica psichiatra sostiene che io abbia messo in atto il meccanismo tipico della negazione. Un morbo planetario era troppo per la mia emotività sfrenata, una situazione da fantascienza, incluse le leggende sui pipistrelli, sulle chimere e sugli esperimenti nei laboratori cinesi. E così, secondo l’amica, mi sarei salvata ignorandolo, mantenendo le necessarie misure prudenziali ma continuando a uscire, incontrare, lavorare, viaggiare, abbracciare, baciare…  Proprio come se niente fosse.

A sorpresa, eccomi con lui dentro di me, da qualche giorno. Ospite infido. All’inizio si mimetizza con un raffreddore qualunque, un banale malessere che ti colpisce nei tuoi soliti punti deboli. Il mio è la tosse. Tossisco sempre, anche quando sto bene. Tossisco per imbarazzo, per schiarirmi la voce al microfono, perché mi sembra sempre di sentire fumo di sigaretta nell’altra stanza, perché ho il reflusso, perché respiriamo schifezze. E lui si presenta come una tossetta. Prima insistente. Dieci colpetti in un quarto d’ora. Poi quindici. Poi venti. Poi diventa una tosse travolgente, un uragano: tutta la giornata è un colpo di tosse, in pratica un continuo straziante urlo inframezzato da qualche secondo di silenzio. Con ciò che ne consegue: la schiena a pezzi, la cervicale, i crampi al diaframma, l’emicrania, il respiro che viene meno, la voce strozzata, l’impossibilità di dormire… Sì va bene, ma sono tutte cose già provate in occasione di un banale raffreddore, dicevo, che acuisce sintomi già familiari. E allora chi è il Covid? Il Covid è qualcuno che, per insinuarsi dentro di me, con intelligenza diabolica prende le sembianze di una mia debolezza già nota. Così da non spaventarmi e da potersi poi fare strada un po’ più avanti nel mio corpo. Febbre? Quasi niente. Come sempre in altri casi. La mia media è da rettile, 35.2. Infatti si alza di pochi gradi. Ma a 37.1 sono certa di avere 42.

Due giorni e mi sento meglio. Sì sì sto meglio. Visto che avevo ragione? Anche la tosse è diminuita. Il mal di testa pure. Avevo ragione a stare serena, forse hanno ragione perfino i negazionisti:  il Covid non esiste, domani mi rifarò il test e sarò negativa. Cerco di affrontare minimali faccende domestiche per tornare alla normalità. Ma ai fornelli le gambe non mi tengono. Ci sono 39 gradi e io sento freddo. Però sudo. Mi guardo allo specchio e  non mi riconosco: ho uno sguardo svuotato da spettro. Mi pulsa qualcosa in testa, come un ferro bollente dalla nuca alla fronte da destra a sinistra, poi il ferro diventa gelato e scende da sinistra a destra. E di nuovo la tosse, più violenta di prima. Ma non l’avevo quasi superato? Un passo avanti e due indietro… Sintomi conosciuti, ma mica tanto… Un qualcuno ci dev’essere, qui dentro, a cambiarmi continuamente le carte in tavola.

E così  in questi giorni ho potuto mettere a frutto la mia voglia di imparare. So bene che qualsiasi Virus ha bisogno di imparare più di me. Imparare per adattarsi. E’ la sua sola strada per sopravvivere, è il suo “mestiere”. Deve imparare a tranquillizzarmi e a sorprendermi nello stesso tempo, deve farmi lasciare aperte le porte tanto da poter entrare e uscire a suo piacere. Deve andare per tentativi.

Avendolo qui (non so precisamente dove nel mio corpo), me ne sono potuta fare comunque finalmente un’ idea, assorbendo mio malgrado la sua strana lezione. Ora so che in qualche bizzarro modo il Covid siamo noi. Ci assomiglia non solo perché deve assomigliarci, per integrarsi e farsi accettare dalle nostre cellule, ma perché è infido e mutevole precisamente come noi, perché pretende l’eternità e la conoscenza universale, perché ha smania di sopravvivere a tutto, come la vita che ci attraversa densa del suo mistero fondamentale (chi siamo?), perché è globale come l’umanità di questo tempo, perché ha una sua rozza ma efficacissima idea di fraternità universale di fronte alla quale i sogni dei più grandi pacifisti della storia diventano barzellette: solo il Covid ci ha fatto sentire veramente tutti figli di uno stesso padre, in qualsiasi angolo del pianeta. Alla faccia delle differenze. E poi ci toglie il respiro, ci ricorda il mondo asfittico nel quale ci siamo ridotti a vivere, senza più aria pulita e senza più spazio tra le persone, oppure con tanto di quello spazio, che le parole non hanno più senso, non si ascoltano più. E poi ci toglie il gusto e l’olfatto, perché in questo mondo nemmeno i fiori profumano più, nemmeno i peperoni e i pomodori del tuo orto sono più saporiti come un tempo…

Ecco perché il Covid è stato il primo maestro che ho potuto reincontrare dopo tanti anni di scuola e di non scuola. Mi sta ricordando quanto è importante non smettere mai di farci domande. E che, con tutta la nostra scienza, non varremo mai più degli uccelli del cielo, dei gigli di campo e di un elementare, invisibile ammasso di DNA.

 

 

30 luglio 2022

One thought on “DIARIETTO DI MEZZA ESTATE

  1. luciana

    il tuo ‘diarietto’ è fenomenale.Bella la tua scrittura e magnifico il tuo
    spirito !!grazie per il dono

    luciana piddiu

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