Deciso, faccio outing: sono una donna e mi piacciono gli uomini. Inoltre non ho ricevuto traumi infantili, non sono stata sfregiata con l’acido, neppure violentata, non sono un trans, non sono matta (credo), non sono né povera né ricca, non ho storie di lager, non faccio parte di nessuna minoranza protetta e non sono neppure vittima di stalking o di mobing. (Per quanto, riguardo a quest’ultima voce ho già fatto pubblica denuncia). A volte ho anche la sensazione di non avere da raccontare nulla di particolare.
In base a tutto quanto sopra mi chiedo se anche io ho diritto a non essere discriminata e a invocare la parità. Sì, perché oggi solo i diversi sono uguali. Mentre gli uguali (si legga le persone comuni, perfino mediocri, con storie cosiddette “normali”) sono i veri rejetti della società, i derisi, gli esclusi. Pare addirittura che la normalità (cercheremo poi di capire che cosa debba effettivamente intendersi con questo concetto) sia penalizzata a prescindere, essendo spesso confusa con “normalizzazione”, e comportando implicitamente un sospetto di razzismo: secondo l’attuale mainstream chi è normale o sedicente tale si arrogherebbe il diritto di essersi autoincluso nella norma disprezzando quei tanti altri che invece, per mille validissime ragioni, ne sono fuori. E ogni norma è fascista, fa riferimento a un codice imposto chissà da chi, degno di essere messo in discussione per il solo fatto di esistere. Dunque, alla faccia di chi si sente integrato nell’ipocrita sistema della normalità, viva la felice anarchia, la disparità, l’anomalia, viva l’asimmetrico, l’eccentrico, il pazzoide, l’eversivo, il guastatore, il dispari, viva ancora e sempre il diverso.
E se io volessi sentirmi uguale? Tanto uguale da non essere notata, da sparire nella folla, da inabissarmi nei miei dolori, da non volerli raccontare sui social e tanto meno in un talk-show? Che genere di rispetto e considerazione mi riserverebbe la società?
Certamente anche io abbocco voyeuristicamente a storie assurde o strazianti o scandalose. Anche io sono affascinata dal fantasioso dispari piuttosto che dal noioso pari. Anche io preferisco il disordine a una organizzazione stereotipata e un po’ maniacale. Anche io mi incanto a certe dissonanze piuttosto che a perfetti canoni. Ma non sempre ho voglia di sovvertire l’ordine e di vederlo sovvertito. Non sempre ho voglia di godere a vedere violate o sbeffeggiate le norme. Direi quasi che la violazione per la violazione comincia anzi ad annoiarmi. Non è forse più facile smontare che rimettere insieme? E del resto la parola “norma” ha la stessa radice della parola “noscere”: conoscere. La normalità sarebbe solo un pratico strumento di sapere. Perché dunque criminalizzarla o disprezzarla? Solo a partire da una regola -ovvero da un valore condiviso- possiamo mettere insieme conoscenze e operare valutazioni e confronti.
Io rivendico il diritto di essere nomale, anzi banale, di non offrire materia per titoli da prima o anche da quarta pagina, il diritto di non essere eversiva e tuttavia a essere ascoltata nelle mille sfumature della mia rassicurante banalità, che a suo modo pensa e forse aiuta altri a pensare. Rivendico il mio diritto ad essere anche io uguale a chi è diverso, ma in modo decisamente diverso, beninteso. A modo mio, insomma.
20 settembre 2022