Manca solo un minuto al lancio e il più grande e potente razzo mai costruito viene fermato. Non è l’inizio di un film di fantascienza, ma quanto è accaduto lo scorso 17 aprile alla base Space X in Texas. Rinviato il lancio al 20 aprile, il razzo viene fatto comunque esplodere poco dopo a causa di un’anomalia, un problema che rischiava di rendere incontrollato e pericoloso il rientro sulla terra. La base e il progetto sono di Elon Musk, il miliardario sognatore che intende con questo sistema missilisco portare prima o poi gli astronauti della missione Artemis 3 sulla Luna e poi passeggeri perfino su Marte.
Non saranno proprio i prodromi di viaggi analoghi a quelli dell’astronave Enterprise, “diretta all’esplorazione di strani mondi”… Però… lasciateci sognare, perfavore.
Il fallimento di Starship fa bene al fegato degli invidiosi di quel riccone un po’ eccentrico e fa riecheggiare il vecchio detto “chi troppo in alto sal cade sovente, precipitevolissimevolmente”. C’è un gusto speciale nel veder fallire missioni troppo ambiziose. Ma davvero, perché non ci lasciate sognare?
Negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, quando le missioni spaziali erano appannaggio della NASA o del programma spaziale sovietico ( e nascondevano le mire difensive e espansionistiche della guerra fredda), i freni erano imposti dai proto-ecologisti, o meglio dalle anime belle del progresso sostenibile: molti, all’epoca, spargevano dubbi sull’utilità di tali dispendiose missioni spaziali, le cui risorse sarebbero state assai più saggiamente impiegate a beneficio di tanti drammi terresti (miseria, fame, guerra, siccità etc). Non avevano torto, ma davvero non è mai lecito sognare?
In realtà, la sensazione è in che taluni casi sognare sia imprescindibile. Da Icaro in avanti l’uomo non può proprio impedirsi di immaginare di staccarsi da terra. Quando ci riesce però, c’è sempre la vocina del saggio grillo parlante che avvisa: “attento che cadi”.
Ma cadere fa parte del gioco. Che la caduta sia reale, come nel caso di Icaro o di Starship, che sia metaforica, come nel caso di un progresso inutile e immorale, che preferisce coltivare ambizioni pseudoscientifiche piuttosto che risolvere drammi umani e umanitari, tutto fa parte del gioco.
I troppo saggi censori delle imprese ambiziose mi riportano in qualche modo alla figura evangelica di Marta, che, insieme alla sorella Maria, un giorno ospita Gesù nella sua casa. Mentre Maria si inginocchia a piedi del Signore avida solo di ascoltare il suo insegnamento, Marta sfaccenda infaticabile perché l’accoglienza sia perfetta. Per sbottare alla fine contro la sorella e riportarla ai doveri e alle urgenze domestiche. Ma Gesù le tappa la bocca: in un momento come quello è più importante guardare oltre la tavola apparecchiata o il pavimento pulito. In un momento come quello è più giusto fermare tutto, alzare gli occhi, e guardare oltre.
C’è un tempo per tutto, insomma. Un tempo per sfamare chi ha fame di pane e un tempo per sfamare chi ha fame di sogni, di conoscenza. E non è detto che le due imprese non finiscano per convergere. Non è detto che dal sogno realizzato di portare passeggeri sulla Luna non possa derivare anche la soluzione alla miseria e alla fame sulla terra. Magari un giorno non lontano. Lasciateci sognare anche questo. Lasciateci sognare di poter un giorno arrivare “là dove nessuno è mai giunto prima”. E se chi guida il sogno è un maledetto riccone che sembra godere a superare ogni limite in barba a noi che non arriviamo a mettere insieme il pranzo con la cena, non per questo deve avere necessariamente torto in eterno. I limiti esistono proprio per essere superati. Basta non violarli.
30 aprile 2023
Antonella Crocetti
Bellissimo scritto… Mi ha fatto molto riflettere