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ESSERE PECORE

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Ieri è iniziato l’Avvento, il periodo liturgico in cui la Chiesa si prepara alla celebrazione del Natale, ovvero attende la venuta di Cristo. Tutti attendiamo qualcosa o qualcuno, perciò il Natale è una festa universale, tanto cara anche a chi non crede.
Nelle raffigurazioni artistiche, e più spesso nei nostri presepi domestici, compaiono cortei regali e processioni di pastori con le loro greggi, e poi gruppetti di operai, contadini, gente qualsiasi, tutti ugualmente convergenti verso la grotta indicata dalla stella. Tutti siamo ugualmente in viaggio verso qualcosa o qualcuno, e anche se le destinazioni ci sembrano diverse, alla fine l’umanità converge tutta verso la stessa meta, dove qualcuno spera anche che ci incontreremo.

I pellegrinaggi di nobili e straccioni rappresentati nei famosi dipinti così come negli umili presepi mi commuovono non solo per la loro democraticità, per l’azzeramento delle differenze sociali che la venuta di Dio in terra comporta, ma proprio per questo atto dell’andare.

Oggi andiamo sempre, andiamo incessantemente, andiamo dovunque ma anche da nessuna parte.  Nell’Avvento invece la meta è chiara: l’attesa ci viene restituita, insieme a una direzione, grazie a una stella.

Nella miniserie tv Karol. Un uomo divenuto papa (regia di Giacomo Battiato) c’è una bella sequenza dedicata alla messa di Natale celebrata nel 1959 dal vescovo ausiliare di Cracovia Karol Wojtyla a Nowa Huta, la città senza Dio, che il regime comunista polacco aveva progettato come la città simbolo del socialismo, piena di scuole, case, fabbriche, ospedali, ma senza Dio, senza neppure una chiesa. Sfidando l’inverno polacco, il futuro papa celebrò messa all’aperto, nella certezza che dovunque c’è un popolo che prega, quella è già una chiesa.

In una delle scene più intense si vede Wojtyla che alza il calice di fronte a un altare improvvisato e tutti i fedeli assiepati alle sue spalle. In epoca preconciliare infatti il sacerdote celebrava tutta la messa guardando l’altare, e non come adesso rivolto ai fedeli. Quella scena mi ha ricordato proprio le processioni natalizie dei presepi e il loro andare incessante verso una stessa meta: un pastore e il suo gregge. Uno che guida e tanti che lo seguono.

Il Concilio volle mettere la Chiesa in dialogo col mondo, rinnovarla. Alcuni ritengono che in quel necessario processo, in quell’urgenza di confronto la Chiesa abbia finito per confondersi col mondo, perdendo parte della sua identità.

Il sacerdote che oggi celebra messa guardando l’assemblea, certamente appare più umano, più accessibile, più democratico,a nche più simpatico e certamente meno distante dalla gente (lo guardiamo in faccia)… ma forse tradisce un’autoreferenzialità della chiesa dei nostri tempi, che per voler apparire aperta, in realtà finisce per chiudersi su se stessa. Il sacerdote che guarda i fedeli, e che dai fedeli si fa guardare, rischia di dimenticare e di far dimenticare che tutti stiamo andando. E tutti verso una stessa meta.

Tanti, ancora oggi, hanno bisogno di essere guidati. Basterebbe un pastore, basterebbe una stella. Non ci servono psicanalisti, commentatori televisivi o maestri di sostegno. Ci servono pastori. Gente che va avanti, e noi che li seguiamo.

Quando ero piccola e le zie mi portavano in chiesa, mi indicavano il tabernacolo in fondo sull’altare e mi dicevano : “Lì c’è Gesù”.

Io non capivo un bel niente, soprattutto non vedevo niente, se non i loro indici puntati verso una misteriosa direzione, quell’armadietto riccamente istoriato eppure così apparentemente insignificante. Proprio come una grotta.

Ecco, io vorrei una grotta, una direzione, e qualcuno che mi ci portasse. Essere pecore non è brutto. L’equivoco della democrazia ci ha tolto la bellezza di essere guidati, o piuttosto di essere accompagnati.

 

4 dicembre 2023

 

 

 

U2 Where the streets have no name

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