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FORSE TI AVREBBE PARLATO DI GESU’

Per ascoltare invece di leggere:

Qualche mese fa mi azzardai a scrivere una intervista impossibile al papa emerito Benedetto XVI. Rimasta ancora inedita, sul tema della sua rinuncia. Chi mi conosce sa che io sono una fanatica delle interviste impossibili, considerando questa formula attualissima e perfetta per approfondire con libertà e spirito critico i grandi temi della nostra storia. La rassegna teatrale che va a concludersi in queste settimane al teatro romano Tordinona, dedicata proprio a una galleria di grandi autori che immaginano di incontrare grandi personaggi, conferma l’attualità e la versatilità espressiva del format. Che naturalmente si esprime al meglio quando l’autore si confronta con un personaggio del passato, che non abbia mai rilasciato cioè interviste reali: è proprio questo che sancisce l’impossibilità dell’intervista, autorizzandone il gioco basato sull’assoluto arbitrio quanto sulla verosimiglianza storica.

Da questo punto di vista Benedetto XVI non sarebbe perciò l’interlocutore ideale, sia perché ha rilasciato alcune (poche) preziose interviste a autorevoli intervistatori, e anche prima di salire al soglio di Pietro, sia perché troppo vicino a noi nel tempo…

Ma mi sono lanciata nell’impresa sia perché rimpiango amaramente di non avere mai chiesto udienza quando era ormai papa emerito, sia perché lo considero un personaggio tragico, stritolato tra le derive materialistiche e relativistiche del nostro tempo e il suo gigantesco ruolo, ormai reso sempre più inattuale, paradossalmente proprio dallo spirito post-conciliare della stessa Chiesa.

Spedii questo testo a tre interlocutori per me prestigiosi, tecnicamente preparatissimi: due sacerdoti e un laico. Cercavo consulenza alla mia interpretazione storica che, pur nell’azzardo tipico della formula dell’intervista impossibile, fosse comunque verosimile e sostenuta da argomenti corretti sul piano formale e della dottrina.

Il primo sacerdote mi ignorò, ma lo giustifico perché ha avuto, ha problemi di salute. Il laico si limitò a dirmi, dieci minuti dopo aver ricevuto il testo (e presumo averlo soltanto scorso, più che letto con attenzione) che Benedetto XVI non mi avrebbe mai chiamato “figlia”, come io invece immagino -forse desidero- che avrebbe potuto fare.

Il secondo sacerdote pure non mi rispose, ma in occasione di un incontro, diversi mesi dopo, nel corso di una affettuosa conversazione, tornò spontaneamente sul tema, dimostrandomi, non solo di avere ricevuto e letto attentamente quel testo, ma di averne conservato memoria, e di avere ancora in canna per me la critica fondamentale.

Quel sacerdote è il gesuita padre Federico Lombardi, che oggi presiede la Fondazione Ratzinger e che è stato direttore della Radio Vaticana, del Centro Televisivo e della Sala Stampa della Santa Sede, ricoprendo per un certo periodo anche tutte e tre le cariche contemporaneamente.

Mi disse, all’incirca, che nella mia interpretazione non c’era nulla di sbagliato o politicamente scorretto. Ero libera di immaginare che alla base della storica rinuncia ci fosse la resa dell’uomo di Dio di fronte al rifiuto dell’umanità contemporanea di parlare di Dio e con Dio. Era cioè verosimile che il vecchio papa si sentisse perso di fronte all’impossibilità di parlare la stessa lingua del mondo di oggi.

Però, aggiunse il mio serafico ex direttore, “forse ti avrebbe parlato di Gesù Cristo”.

Lì per lì pensai che, da sacerdote, padre Lombardi avesse notato l’eccessiva laicità “teoretica” del mio testo, nel quale la protagonista della conversazione è una non meglio identificato trascendenza in senso astratto, assente ingiustificata dai nostri giorni, e che dunque io avessi colpevolmente dimenticato di conferire al “personaggio” Ratzinger un certo spessore pastorale. E contestualizzai questa sua osservazione nella stessa missione sacerdotale di padre Lombardi, anche lui pastore. Insomma, se i preti o i papi non parlano di Gesù Cristo, sulla base del Catechismo, pensano di non parlare di niente: liquidai così, alquanto semplicisticamente la sua osservazione, ripromettendomi comunque di correggere il tiro in tal senso sul mio testo, nel caso di doverlo pubblicare o rappresentare. In fondo Benedetto XVI ha parlato infinite volte di Gesù Cristo, ritrovare le sue pronunce è facilissimo quanto appunto doveroso.

Però, passate settimane e mesi da quell’incontro con padre Lombardi, quella semplice, laconica, cortese frase (“forse ti avrebbe parlato di Gesù Cristo”) ancora misteriosamente mi risuona. Come una canzone che non ti esce dalla testa. Non ho più pensato a quella intervista impossibile, non vi ho rimesso mano, insomma non me ne sono più curata, presa da altri lavori. Eppure, a ondate, debolmente, sottovoce, quella frase mi torna, diventando misteriosamente pensiero, diventando domanda, acuendo il rimpianto di non avere mai chiesto quella famosa udienza a Joseph Ratzinger.

Forse mi avrebbe parlato di Gesù Cristo.

E come me ne avrebbe parlato? Vincendo definitivamente la mia miscredenza. Non certo me ne avrebbe parlato come ne parlava da papa, nelle sue udienze e catechesi rivolte al mondo intero. Me ne avrebbe parlato come un padre a una figlia, per l’appunto, a dispetto dell’altra superficiale osservazione che fu rivolta al mio lavoro. “Forse ti avrebbe parlato di Gesù Cristo”. E padre Lombardi ci aggiunse un sorriso, quasi una sottile presa in giro, quasi a sottolineare che mi avrebbe parlato di un trascurabile argomento.

All’omelia della messa per i suoi 50 anni di sacerdozio padre Lombardi ringraziò tutti i presenti per gli auguri e le manifestazioni di affetto, ma a un certo punto disse: “e adesso lasciatemi parlare di Gesù”. E lo fece evocando la lancia del centurione che trapassa il costato del crocifisso, che ferisce l’uomo e offende il cadavere, ma non arresta, non impedisce, non ostacola l’amore.

No, non è solo una “deformazione professionale” del pastore “parlare di Gesù Cristo”. E’ la funzione misteriosa e potente del sacerdote, sia misero parroco o pontefice o ex pontefice, che non può che mediare tra qui e altrove, ripetendo come in un mantra il promemoria più sconvolgente del mondo: solo l’amore vince.

L’incarnazione e la morte di Dio sarebbero questo semplice, tragico, meraviglioso promemoria: ci vuole sempre una persona perché ognuno di noi si ricordi di essere una persona. Abilitata a non morire,  capaci di restituire amore. Tutto qui.

Questa elementare, abissale possibilità torna a sfiorarmi – me, incallita miscredente – nell’eco di quella frase: “forse ti avrebbe parlato di Gesù Cristo”. Così come torna a sfiorarmi la curiosità di incontrarlo, proprio lui, Gesù, un giorno per caso, senza averlo cercato.

Inchiodato o di passaggio, come a Emmaus, incapace io di riconoscerlo subito.

 

3 maggio 2024

 

 

 

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