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FUGA DALLA REALTA’

Guardo gli inquietanti capolavori degli artisti iperrealisti, in pratica indistinguibili da fotografie, e mi chiedo a quale fine tanto spreco di energie e di bravura.

Al termine dell’ottocento la nascita della fotografia “costrinse” in un certo senso i pittori a diventare impressionisti. Fu la fotografia a generare i fauves, l’astrattismo, l’espressionismo, il futurismo, le più fantasiose correnti pittoriche di inizio novecento.  Non serviva più essere realisticamente fedeli ai soggetti rappresentati, da allora in poi ci avrebbe pensato l’obiettivo fotografico. Dunque, che cosa restava da fare agli artisti se non mediare la rappresentazione della realtà attraverso la loro personale visione del mondo, i loro progetti e pensieri? la tecnologia li obbligò a trovare un’alternativa umana.

E oggi,  nella più spregiudicata civiltà dell’immagine, dove grazie a una tecnologia sempre più spinta il reale può essere meticolosamente riprodotto da sofisticati macchinari e programmi, io che osservo un’opera iperrealista, di che cosa dovrei commuovermi oltre che dell’abilità del pittore? E che cosa mai spingerebbe l’abile pittore dotato di tecnica sopraffina, a tornare indietro verso il realismo, anzi a esasperare il realismo di un tempo verso una fanatica, ossessiva fedeltà al reale?

A riguardo ho due diagnosi, non necessariamente tra loro alternative:

  1. Gli artisti iperrealisti stanno ingaggiando una impari gara con la macchina, con l’incombere dei software, delle intelligenze artificiali e del deep fake. Vogliono dimostrare che l’uomo è ancora e sempre superiore alla tecnologia, che l’uomo, se vuole, può arrivare ad essere ancora più tecnico della tecnica, dal momento che tale tecnica –benché disumanizzata-  è pur sempre opera dell’uomo.
  2. Gli artisti iperrealisti testimoniano la nostra progressiva perdita di emozione, la nostra incapacità a governare sentimenti. Oramai così tacitato l’emisfero destro del nostro cervello, ci si limita ad annotare pedissequamente e quasi nevroticamente i particolari di quanto si osserva e si vive, spesso senza riuscire a cogliere la visione d’insieme e soprattutto senza trasferirvi dentro una qualsivoglia ribellione, una protesta, una speranza, un pensiero o una possibile alternativa. Osservare la realtà troppo fedelmente tradisce alla fine il distacco verso quanto si ha sotto gli occhi, e in qualche modo il bisogno sempre insoddisfatto di fuggire altrove.

Tirando la linea, l’arte iperrealista è indizio di una nostra desolante atrofia emotiva, che passa per una corrispondente ipertrofia di metodo, che però rimane tragicamente fine a se stesso. E ora non venga su qualcuno a dire che se l’alternativa è il sogno, altrettanto fine a se stesso, rischiamo di sradicarci da questa terra viaggiando tra le nuvole: se le favole sono pericolose, la realtà da sola toglie il respiro. Oppure annoia.

Mi dispiace che lo abbia detto in un suo film proprio Woody Allen, che non amo: ma davvero “la realtà è per chi non sa fare di meglio”.

 

3 marzo 2023

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