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GUARDA QUANTE COSE

Faccio due chiacchiere con un giovane professionista della mia città. Lo conosco da un po’, si parla di questo e di quello. L’ho inquadrato (nel senso che di lui mi sono fatta inevitabilmente un’idea) come un poeta mancato, un giovane appassionato e sensibile costretto dentro una professione che non disdegna ma che neppure ama alla follia, per la quale tuttavia è capace di appassionarsi e di essere universalmente apprezzato. Un ragazzo brillante, insomma. Ci scambiamo idee sul degrado di Roma, sul traffico, sulla politica internazionale, sugli inganni della comunicazione, sui film, sull’alimentazione, sul capitalismo, sui massimi sistemi. Insomma parliamo di tutto un po’, visto che frequentiamo gli stessi ambienti e ogni tanto ci capita di incontrarci.

Recentemente mi ha permesso, senza intenzione, di comprendere a fondo la sua filosofia di vita. L’ho “estratta”, per così dire, da una sua reazione rabbiosa contro tutti coloro che non fanno niente per evolvere, crescere, informarsi, apprendere, diventare migliori. Di conseguenza ho riconosciuto l’inevitabile classificazione con cui, forse senza neppure esserne consapevole, lui divide l’umanità in due blocchi: austalopitechi e neardhental. I primi: assimilabili a vegetali; i secondi dotati di curiosità, stimoli, slanci infiniti, capaci di far evolvere tutto il genere umano.

La sua insofferenza verso gli uomini-tubero mi ha commosso quasi più della sua implicita gratitudine verso tutti gli altri che tuberi non sono: vi ho letto la consapevolezza che i talenti ricevuti non possono essere lasciati ammuffire, oltre alla certezza che ognuno deve poter riconoscere le proprie abilità e potenziarle per quanto possibile, che ognuno deve potersi appassionare a tutto ciò che lo circonda.

Quando si dice “i giovani d’oggi”. Bamboccioni, disorientati, alienati, storditi dal web eccetera. Sì, ma mica sempre.

Nell’antipatia di questo ragazzo per chi langue oziosamente dentro le proprie miserie, nella sua ammirazione per gli ultracentenari che al contrario si lanciano sempre in nuove stimolanti avventure e tengono costantemente desta la loro attenzione, ho visto un rigoglioso senso di responsabilità che ne farà un adulto impegnato e consapevole, un anziano vitale e sempre curioso del mondo che cambia.

Nel romanzo Re in eterno (che narra le vicende di Re Artù e compagni) l’autore Terence Hanbury White fa dire a Mago Merlino:

“La cosa migliore da fare quando si è tristi è imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai. Puoi essere invecchiato, con il tuo corpo tremolante e indebolito, puoi passare notti insonni ad ascoltare la malattia che prende le tue vene, puoi perdere il tuo solo amore, puoi vedere il mondo attorno a te devastato da lunatici maligni, o sapere che il tuo onore è calpestato nelle fogne delle menti più vili.  C’è solo una cosa che tu possa fare per questo: imparare. Impara la ragione per cui il mondo si muove, e che cosa lo muove. Questa è l’unica cosa di cui la mente non si stancherà mai, non si alienerà mai, non ne sarà mai torturata, né spaventata o intimidita, né sognerà mai di pentirsene. Imparare è l’unica cosa per te. Guarda quante cose ci sono da imparare.”

Ringrazio il giovane Riccardo di pensarla come Mago Merlino.

E lo ringrazio di essere mio figlio.

 

5 ottobre 2023

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