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IDENTITA’ E NON CONTRADDIZIONE?

Avevamo appena esultato per un mondo globale. O quasi. Per quella globalizzazione “buona”, secondo gli auspici di papa Francesco, che non schiacciasse, in nome di superiori interessi di mercato, le singole identità nell’uniformità di una sfera, ma al contrario le salvaguardasse come facce di un poliedro. Avevamo appena compreso che il mondo è uno, che le interconnessioni ci rendono di fatto tutti membri della stessa famiglia umana, uniti nel bene e nel male. Che un battito d’ala qui può generare uno tsunami ai nostri antipodi. Che se l’Africa muore di stenti o di guerra, il resto del mondo avrà a che fare con ondate di fuggiaschi. Che se i ghiacciai si sciolgono in Groenlandia, anche il Mediterraneo o il Pacifico ne subiranno le conseguenze. Che se qualcuno smette di venderci il gas noi moriamo di freddo. E via di questo passo. Per un momento eravamo anche stati fieri di questa glocalizzazione rispettosa di tutti e di ciascuno, che ci ha aperto gli occhi anche sul legame stretto fra noi e la natura. Perfino il Covid ci aveva dato una mano: tutti uguali, affratellati nella paura, a fronteggiare lo stesso nemico, e purtroppo costretti a ripensare il festoso melting pot mondiale e a separarci di nuovo, isolandoci ciascuno dentro i confini dei nostri paesi e nelle nostre tane, rimpiangendo la libera circolazione di uomini e merci. Come era bello un pianeta indiviso. Quasi la promessa di un mondo in pace, senza più frontiere. Imagine there’s no countries…It isn’t hard to do… Era il sogno di John Lennon fin dagli inizi degli anni settanta.

Madovemaquando. Il Covid ci stava suggerendo anche altro: che la separatezza può essere una virtù, salvare vite. Chi l’avrebbe mai detto. E già alla caduta del Muro di Berlino avremmo dovuto cogliere segnali, alimentare più di un sospetto. Se la globalizzazione ante-litteram del blocco sovietico aveva mantenuto per decenni e quindi risvegliato fierissime e mai sopite rivendicazioni nazionalistiche, tanto da condurre negli anni novanta alla nascita di nuovi stati indipendenti e da generare la penosa guerra dei Balcani, era necessario capire che per quanto gli interessi economici e finanziari perseguano l’omogeneizzante “comunismo del consumo” a ottundere qualsiasi pensiero alternativo e a criminalizzare i cosiddetti sovranismi, le identità nazionali sono dure a morire. E sono dure a morire perché rappresentano comunque un residuo di identità. E l’identità rappresenta a sua volta la fatica della differenza, la nostalgia e il simulacro del pensiero. Per questo seduce. Precisamente ciò che i cosiddetti poteri forti tendono a schiacciare, perché qualsiasi pensiero è eversivo, in quanto a sua volta portatore di differenza, che a sua volta seduce e spaventa e genera altro pensiero che genera altre differenze…

Ora, i fieri rappresentanti delle identità nazionali (gli stessi ucraini aggrediti dall’esercito di Putin, come anche i russi e i filorussi minoritari in territorio ucraino) farebbero bene a esercitare, proprio in nome delle specifiche identità (nel senso nobile dell’antico principio di identità e non contraddizione) proprio ciò che identifica – o dovrebbe identificare- un essere pensante diversificandolo dall’animale, ovvero la ragionevolezza. Saremmo ancora in tempo, prima del baratro. Per non contraddire lo specifico dell’umanità.You may say I’m a dreamer. But I’m not the only one.

 

28 aprile 2022