Per ascoltare invece di leggere:
La prendo un po’ alla lontana. Due volte la cometa è un bellissimo libro di viaggio dello scrittore tedesco Ernst Junger, che nel maggio del 1986 esplorò la Malaysia e l’Indonesia animato dalla sua passione di entomologo, ma anche e soprattutto dall’intento di vedere per la seconda e “probabilmente” ultima volta nella vita la cometa di Halley, già contemplata dall’autore adolescente, in Europa, nel 1910. Uno sguardo in basso nel microscopico mondo animale, e un altro in alto verso il mistero dell’infinitamente grande. Di questo libro mi piace soprattutto il titolo: allude a una vita sufficientemente lunga e a uno spirito di esplorazione sufficientemente vitale per poter godere due volte nella vita di uno spettacolo così straordinario come il passaggio di una cometa, anzi di quella cometa in particolare, così famosa nella storia del mondo, tanto da essere ritratta perfino da Giotto nella sua Adorazione dei Magi.
Quel titolo lo vorrei parafrasare: tre volte la Porta Santa. E vale per me come per molti altri miei coetanei. Eravamo qui nel 1974, nel 1999 come pure l’altro giorno, vigilia di Natale del 2024. Non conto i vari anni santi “non regolamentari” che si sono “inventati” in aggiunta Giovanni Paolo II poi lo stesso Bergoglio (della Redenzione nel 1983, della Misericordia nel 2016), perché l’impressione è che temessero entrambi di non arrivare alle rispettive date canoniche e avessero fretta di provare entrambi l’emozione di varcare comunque quella soglia. Ma un po’ di civetteria a un pontefice la si deve concedere.
Io ho davanti agli occhi le foto delle tre aperture: per chi crede, ma anche per chi non crede, sono termometri di tre epoche.
- 1974. Paolo VI batte tre colpi di martello d’argento su una austera parete nuda e bianca che era stata alzata alla chiusura dell’Anno santo del 1950, decorata da una sola croce di metallo dorato. Calcinacci gli sfiorano la faccia. La parete viene giù severa, verso l’interno della basilica, ricordando vagamente l’avello infuocato da cui emerge Farinata degli Uberti nella rappresentazione di Dorè dell’Inferno dantesco. Paolo VI è rigido, solenne e ritto sulle sue gambe, la veste è bianca come conviene al tempo di Natale, ordinatamente drappeggiata e con discrete bordature che si immaginano dorate; quasi tutte le foto del tempo sono ancora in bianco e nero. Quel settimo decennio del ventesimo secolo fu davvero un decennio in bianco e nero. L’ultimo della storia, ancora per poco, dal punto di vista fotografico. Ma poi fu bianco e nero non soltanto nelle foto.
- 1999. La parete austera viene smantellata nei giorni precedenti l’apertura, per evitare altri incidenti: Giovanni Paolo II si limita a spingere simbolicamente i battenti della porta che appare in tutto il suo splendore con le formelle realizzate più di cinquant’anni prima dallo scultore Vico Consorti. Il papa arriva alla soglia accompagnato da due prelati, è curvo e già sofferente, quasi al termine del suo lungo pontificato, arranca a fatica, e lo sforzo è ancor più sottolineato dal manto giubilare che indossa, multicolore e vagamente kitsch, intessuto di lurex e pietre varie: eccessivo per quelle spalle, eccessivo per quel vecchio papa, la cui immensa potenza spirituale e la cui energia non avrebbero bisogno di alcun orpello. Ma del resto, il quarto di secolo che si chiude nell’ultimo Natale del novecento ha visto gli eccessi edonistici degli anni ottanta, i bagliori di rutilanti schermi televisivi, le sgargianti seduzioni del web, l’esplosione della civiltà delle immagini… E poi si sta inaugurando il terzo millennio. Il passaggio epocale è un’occasione mediatica troppo forte.
- 2024. Bergoglio non è ritto in piedi come Paolo VI, non arranca come Giovanni Paolo II, ma è seduto in carrozzina. Tornato al bianco liturgico della veste, apre i battenti e oltrepassa la soglia seduto. Ora criticato, ora compatito per questa scelta, sembra in effetti tradire nostalgia di sedia gestatoria, se non addirittura di trono. Non concede al suo piede quella piccola, simbolica fatica dei tre gradini, neppure procede autononamente, come molti paraplegici fanno, manovrando da soli le ruote del mezzo, ma si lascia spingere. Un lapsus da non tralasciare. La chiesa del primo ventennio di questo secolo è una chiesa indebolita e invalida, che della propria debolezza sembra voler farsi un vanto. E appare tanto più fragile grazie a involontari segni di rimpianto per un potere ormai residuo e inattuale, non riconosciuto più da nessuno, che preferisce allearsi col mondo piuttosto che guidarlo, farsi instradare (poi chissà dove), piuttosto che indicare una strada.
Anche l’accesso alla porta, per i pellegrini, è molto cambiato in questi cinquant’anni. Nel mezzo di questo mezzo secolo c’è l’attentato a Giovanni Paolo II e il fantasma del terrorismo: lo splendido colonnato del Bernini è presidiato da agenti di polizia e metal detector, precisamente come gli accessi ai gate negli areoporti di tutto il mondo. Ma non mancano i bivacchi degli ubriachi e sei senzatetto, indirettamente legittimati a stazionare vicino alla tomba di Pietro come un necessario promemoria dall’apposito allestimento di bagni chimici e docce voluto dallo stesso Bergoglio. Un mix di burocrazia e degrado medioevale (analogo a quello che doveva caratterizzare il colle vaticano e dintorni prima degli interventi risanatori del Rinascimento) scoraggia buona parte dei pellegrini anche solo ad avvicinarsi alla basilica.
Ma testimonia anche che del degrado e della povertà la chiesa del terzo millennio ama farsi un vanto, esibendola quasi come un brand.
Tanto lo ha detto anche Gesù: “i poveri li avrete sempre con voi”. (Marco 14, 7).
Ciò autorizza non solo e non tanto a tollerarli, ma a soccorrerli fino a un certo punto, affinché non smettano d’essere poveri, di vivere per strada e non caso mai ospitati nei sacri palazzi apostolici deserti, così che la Chiesa abbia sempre qualcosa da fare, avendo smesso, a quanto pare, di guidare il mondo verso Dio. Lo conferma anche l’apertura della porta santa “a domicilio” fra i detenuti di Rebibbia. L’idea bergogliana del decentramento e della valorizzazione delle periferie, geografiche ed esistenziali, è un’altra novità del presente anno santo. Avendo perso un centro -il proprio centro-, alla Chiesa del terzo millennio non resta che guardare fuori. Non più centripeta ma centrifuga, questa Chiesa sembra osservare inerte il disorientamento di uomini sempre meno convinti della propria miscredenza e sempre più lontani.
Forse il giubileo del 2050 restituirà ai credenti e ai non credenti la fatica e il coraggio di un centro, la fedeltà a un messaggio per cui o contro cui combattere e non la conformistica replica “di maniera” di gesti ormai svuotati di significato.
29 dicembre 2024