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IL TROVANTE E IL TROVATO

Per ascoltare invece di leggere:

Ho letto un libro strano, multiplo, viaggiante. Poesie, prose, immagini, scarabocchi d’autore. Di quei libri che piacciono a me, piccoli musei portatili di frammenti, agli antipodi dei monumentali romanzi o degli intimidatori saggi accademici. Breviari invernali e notturni. Uno di quei percorsi niente affatto lineari che non partono da alfa  per terminare a omega, che non potrebbero essere meno scontati. In questo libro non si parte e non si torna, si gira in tondo eppure si arriva lontanissimo.

E mi dispiace anche definirlo “libro” Il trovante  – e altri luoghi. Poesie e prose di Nicola dal Falco e Gaetano Orazio, edizioni La Vita Felice. Preferirei chiamarlo: finestrino, abbaino, oblò, comignolo lungimirante, ritaglio di mappa del tesoro, lanterna di faro, rifugio alpino, barchetta di carta, inno al dio Caso, a “l’immensa fortuna degli sprovveduti”.

C’è dentro la storia (”destrutturata” direbbe uno chef dei nostri tempi) di un incontro fra due ingredienti umani: il poeta e il pittore. Quello del centro e quello del sud. Che si ritrovano a Nord, cercando sirene, a ridosso delle montagne intorno al lago di Como. E che poi sono capaci anche di scambiarsi i ruoli. Il pittore distende i fogli sulle rocce lungo il rio Toscio, vicino Civate: un “bucato di sapienza”. Il poeta osserva, e anche trascrive, consapevole che il semplice fatto di gettare sguardi crea paesaggi. “Sono gli sguardi che danno forma alla natura, la quale non smette di essere qualcosa e tuttavia si offre a diventare altro”. (pag. 77)

E’ il paesaggio a legarli, il genius loci che sembra averli scelti per celebrare la laicissima messa di una conversazione silente, dove le montagne, i sentieri, le acque e soprattutto le pietre, le montagne e le rocce ( protagoniste privilegiate dei versi di Orazio) nella loro apparente immobilità si rivelano anime e animate.  Il monte antropomorfo testimonia così la reciproca ricerca fra uomo e natura: trovante e trovato, non si sa chi sia chi, celebrano il passionale impatto, di nuovo, fra chi guarda ed è guardato. E’ l’occhio a creare il paesaggio, sempre. E’ la responsabilità dell’uomo ad essere, alla fine, invitata a rientrare in scena, sul bilico del tempo, cosa “austera e onnipotente”, che trova i suoi nomi segreti nel silenzio e nell’ombra. In questa cavernosa nebbia, in questa quieta tempesta di briciole sapienziali, finisce per folgorarci la contemplazione del tutto, l’addomesticamento a quell’ “infinito accadere” dove, come scrive Dal Falco “solo lo sguardo cede allo sguardo”.

 

6 dicembre 2023

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