Ha incominciato a soffiare, il bel vento d’autunno. Non ancora gelido, produce vortici di foglie scricchiolanti, ci fa affondare le mani dentro le tasche, riconoscere i brividi del solstizio imminente. Vento di nord est, non ancora tramontana ma quasi, o forse di nord ovest, maestrale che va avvicinando al settentrione esatto l’indicatore della rosa dei venti, quando davvero batteremo i denti.
Ma è un altro il vento che sento soffiare da mesi, da queste parti. Io lo chiamo vento di abbandono, di follia e di malinconia: un turbine inesorabile nella sua impetuosità che trascina via persone e cose. Morti e feriti sotto le bombe, non mi importa sganciate da chi, dall’est oppure dall’ovest, bombe di maestrale o di grecale, russe o americane, le macerie si assomigliano tutte, i morti pure. Morti e feriti fra parenti e amici: ho perso il conto dei funerali cui ho assistito quest’anno. Gente giovane e gente anziana, persone ammalate e persone sane. Ho visto portare via feretri, svolazzare petali di fiori dalle corone a loro dedicate, lacrime scivolare lungo guance scavate dalla tristezza, ne ho viste abbastanza. E amori appassirsi, entusiasmi spegnersi, parole inutili affollarsi, ricordi svanire, anni di fatica perdersi in niente, battiti irregolari sfuggire dai cuori. E poi figli che prendono il largo, fotografie che ingialliscono, riserve energetiche che si svuotano, virus che portano via certezze, amici che ti dimenticano…
Il vento soffia dove vuole, e forse il vento siamo noi. Tendiamo le braccia a trattenere qualcosa che ci ha già oltrepassati, incominciando a farci invecchiare fin da quando veniamo al mondo. Fino a farci accorgere che quest’anno, sotto l’albero, i regali non ci sono più.
6 novembre 2022